Admiral City
22 Aprile 2013
Salazar Tower
Ore: 5.45
Qualcosa gocciolò
sullo spallaccio antishock di Stray. La ragazza guardò in
alto, scrutando la sagoma imponente della Salazar Tower. Il cielo era
buio, mancava ancora un po' di tempo al sorgere del sole. Sopra di
lei il grattacielo era un monolite scuro. La corrente elettrica
mancava fin dal momento dell'arrivo del team di Fortress Europe. Le
uniche cose che scorgeva erano i crepitii energetici provenienti
dalla sommità dell'edificio, dove l'entità conosciuta
come Mezzanotte aveva attaccato.
Una seconda goccia le
arrivò quasi in un occhio. Con una reazione istintiva riuscì
a fermarla a mezz'aria, semplicemente concentrandosi. Era sangue. La
deviò col pensiero, quindi continuò a levitare,
rallentando l'andatura. Procedeva passando a pochi centimetri dalla
parete del grattacielo. Volava solo grazie alla telecinesi e non
poteva che salire verticalmente, con cautela. E se qualcosa le avesse
fatto perdere la concentrazione...
«Sunlight mi
senti?» Nessuna risposta radio. Il suo amico, caposquadra del
team di FE mandato in supporto agli alleati americani, era
irraggiungibile da quasi mezz'ora. La squadra si era divisa proprio
su suo ordine.
Rockster era entrato dal
pianoterra, subendo inevitabili ritardi per validare la sua presenza
ai soldati della Guardia Nazionale e ai Federali.
Cheveux d'Ange stava
collaborando con Rushmore, il genio dello START. Tentavano di
svegliare il comatoso Professor Scanner, l'unico ad aver letto la
mente di Mezzanotte, subendone le conseguenze.
Archer attendeva ai
comandi del flyer, dalle parti della spiaggia di Parque de l'Indio,
dove i militari lo avevano fatto atterrare. Lei e Sunlight invece
avevano optato per una penetrazione dall'alto. Ma ora Stray, Archer a
parte, non riusciva più a contattare nessuno dei suoi
compagni.
Impulsi elettromagnetici,
guerra elettronica, Teleforce, superpoteri: le spiegazioni per il
silenzio radio che avvolgeva la Torre potevano essere tante.
Arrivò al
ventottesimo piano e lo vide: un corpo riverso sul davanzale di una
finestra in frantumi. Era vestito con una exosuit nera, bruciata in
alcuni punti e liquefatta in altri. “È stato Sunlight”,
pensò. “È passato di qui.” Esaminò il
cadavere senza toccarlo. Era uno dei tirapiedi di Mezzanotte. Come li
aveva chiamati il biondino, Cheveux d'Ange, pescando l'informazione
dal cervello di Scanner? Triari, se non sbagliava.
«Sun, sei qui?»,
chiamò attraverso la finestra, osservando un ufficio buio, coi
mobili devastati dalla colluttazione. «Avanti Tyke rispondi,
maledetto olandese.»
Scavalcò il corpo
ed entrò, accendendo la piccola Maglite che portava alla
cintura. Un'intera parete era annerita, i quadri esplosi, le tele
bruciate. Altro indizio del passaggio di Sunlight.
La porta che dava sul
corridoio era socchiusa. La spalancò col pensiero, pronta al
peggio. Vide soltanto un corridoio buio e il cadavere di un secondo
Triario, morto a pochi passi dall'uscita che dava sulle scale interne
della Salazar Tower. Perché Tyke era entrato da lì?
Stray si passò una
mano tra i capelli biondi e regolò l'auricolare. «Archer,
Cheveux mi sentite?»
Le rispose un fruscio
fastidioso, seguito dalla voce disturbata del pilota inglese. «Poco
e male», le ripeté due volte. «Sto cercando di...»
ma la frase fu troncata da altre scariche statiche.
Insistette: «Qualcuno
sta ancora monitorando la Torre? Non vedo elicotteri nelle
vicinanze.»
«Crrr... crrr...
Droni di crrr... Chiamando Salazar ma... crrr... a zero
per ora.»
«Ti sento di
merda», sbottò Stray, spazientita. Quando perdeva la
pazienza il suo passato da teppistella cresciuta nei vicoli di
Neukölln emergeva prepotente. «Se sei ancora in linea
cerca di individuare se ci sono movimenti al ventottesimo piano
dell'edificio. E cerca di localizzare anche i GPS di Rockster e Sun,
cazzo!»
«Stray, ascoltami.»
Questa volta la replica giunse forte e chiara. «Ragazza, mi
senti?»
Non si trattava di
Archer, di Tyke e nemmeno di Rock. Inglese con accento texano, una
voce nota in tutto il mondo. «AD? Sei tu?»
«Sono io. Sei
vicina vero? Sunlight mi ha detto che stai salendo radente alla
Torre.»
Stray rientrò
nell'ufficio e si sporse dalla finestra, guardando in alto. Una
figura si stagliava sopra di lei, diversi piani più su. Era
sospesa in volo a braccia conserte. La Super sapeva che almeno due
membri dello START erano penetrati nel grattacielo poco dopo
l'attacco di Mezzanotte. American Dream era stato il primo, come ci
si aspettava dal più grande eroe statunitense. A ruota lo
aveva seguito Libby, o almeno così le aveva detto Archer,
bypassando le frequenze della Guardia Nazionale.
«Ti vedo»,
gli disse, sventolando poi una mano.
AD le rispose con un
cenno. «Raggiungimi quassù. Quarantesimo piano,
terrazzino del Belvedere Restaurant. Sunlight è ferito, ha
bisogno di te.»
Stray si irrigidì.
Tyke era nei guai? Maledì la baronessa Ashton, che in nome
dell'Unione per gli Affari Esteri aveva mandato mezza FE a rischiare
la vita lontano da casa. Scavalcò di nuovo il davanzale e
levitò verso l'alto, mentre Admiral City, scossa dagli
attacchi dei seguaci di Mezzanotte, rimpiccioliva sotto di lei.
Raggiunse American Dream,
che nel mentre si era appoggiato al cornicione del Belvedere. Le
vetrate del ristorante erano a pezzi, i tavoli rovesciati, gli
splendidi vasi in frantumi. Il Super dello START le sorrise.
Indossava il suo famoso costume in spandex rosso e blu, con un
cerchio bianco fluorescente all'altezza del cuore. Era bello, con
quell'aria a metà tra il boy scout e la rockstar che tutte le
donne del pianeta conoscevano. Poteva non piacere, ma di certo aveva
fascino.
Stray atterrò sul
terrazzino. «È un sollievo vederti.» Lo pensava
davvero. «Credevo di essere rimasta sola. È assurdo, lo
so...» Poi lo vide. Sunlight era infilzato sulla statua del
Nettuno al centro della sala principale del ristorante. Il tridente
di bronzo lo inforcava dal petto, sbucando dalla schiena. La ragazza
si portò le mani guantate alla bocca.
American Dream si voltò,
senza smettere di sorridere. «C'erano un olandese, una tedesca
e uno scozzese. Tutti e tre cercavano di entrare qui per ficcare il
naso.»
Stray era abituata ad
agire d'istinto. Senza fare o farsi domande si concentrò sulla
grossa gargolla in pietra posta al margine destro del cornicione.
Riuscì a strapparla dai perni in un istante. La scagliò
con la forza del pensiero: il proiettile colpì AD alla spalla,
frantumandosi in mille pezzi.
Il supereroe rovinò
a terra. Si rialzò puntellandosi su un ginocchio. Stray aveva
già scelto il secondo proiettile, un enorme lampadario di
cristallo divelto dal soffitto. Lo lanciò, accompagnandolo con
un cenno della mano. American Dream alzò un braccio e lo deviò
come se si trattasse di un pallina di carta. Quindi scattò
avanti e colpì la ragazza con un montante allo sterno. La
piegò in due, mozzandole il respiro. Stray vomitò
sangue e crollò a carponi. Nonostante il dolore capì di
essere stata risparmiata. Un pugno di AD sferrato alla massima
potenza l'avrebbe bucata da parte a parte. Tentò di tirarsi in
piedi. Il Super la strattonò per i capelli, alzandola di
qualche centimetro da terra.
«Il tuo amico è
durato di più. Sei un'eroina gracile.»
«Perché,
brutto bastardo yankee?», riuscì a mormorare la
ragazza, soffrendo a ogni parola. «Perché fai questo,
American Dream?»
«Per Mezzanotte, per il futuro. La Direttiva Wildfire è stata ritirata. Il successo è vicino. E
d'ora in poi chiamami col mio vero nome, stupida schlampe. Io
sono American Way.»
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