martedì 26 giugno 2012

Capitolo 12 (di Ferruccio Gianola)




Admiral City
San Antonio Canal
22 Aprile 2013
Ore 6.18 AM


Da quando era infetto Sniper poteva pensare. Angela Solheim non lo avrebbe mai creduto possibile: li aveva creati per eseguire ordini e null’altro. Ora invece il Golem era in grado di pensare e adesso che pensava si rendeva conto che non sopportava l’odore di sudore degli umani. Chi più chi meno lo emanavano e se lo portavano addosso tutti: maschi, femmine, bambini, supereroi o meno era una loro caratteristica in comune. Un odore che diventava ancora più forte e penetrante quando avevano a che fare con le emozioni. Emozioni che in certe situazioni rendevano il lezzo insopportabile.
Sniper, con i suoi sensori, aveva imparato a conoscerlo e a distinguerlo bene. Ma prima di essere infetto non aveva mai fatto delle considerazioni in merito.
Era piacevole pensare, pensò.
Adesso dall’odore di sudore era in grado di capire cosa stesse provando un essere umano. Una facoltà quasi da supereroi se non fosse stato fatto di calcio e ora, mentre lo osservava assorto, percepiva il coraggio sovrumano di Alexsej, benché non lo capisse.
Negli ultimi tempi si domandava spesso cosa significava vivere provando emozioni e la faccenda lo rendeva perplesso: che fosse dovuto anche questo a un effetto del virus immesso nei Golem da Mezzanotte?
«Allora, sei pronto?» chiese Alexsej.
Il Golem analizzò la domanda studiando le tre parole. Annusò Alexsej, prima di annuire.
Alexsej sorrise e il Golem si ritrasse. Il sorriso di Alexsej aveva cambiato le caratteristiche dell’odore di sudore.
«Vedo che non vuoi parlare! Sai dove si trova la Salazar Tower?»
Il Golem non rispose. Non lo sapeva. Era stolto e stupido e nessuno gli aveva mai parlato della Salazar Tower. Neppure il virus che gli era stato immesso in circolo gli aveva fornito delle informazioni in merito.
Avrebbe dovuto incontrare gli altri Golem per saperlo. Chissà se Blaster lo sapeva. Blaster non sudava.
Era bello non sudare, pensò.
«Davvero sei un cecchino?»
Alexsej lo guardava. L’odore di sudore adesso non era più così impregnante. Forse era un effetto causato dalla brezza che si era alzata in quel momento, colpa di un temporale in arrivo sulla città.
«Sono un cecchino» rispose, cercando di capire cosa stesse provando Alexsej.
Non era coraggio adesso.
Al robot pareva quasi che Alexsej si stesse rilassando un poco. Lo scontro doveva averlo affaticato. Pensò che fosse un buon momento per ucciderlo. Non capiva come mai non gli scattava l’impulso di farlo. Afferrò il fucile. Forse sarebbe bastato alzarlo e premere il grilletto, da quella distanza non avrebbe dovuto neppure prendere la mira.
«A che pensi amico?»
«Non sono tuo amico, sono un cecchino»
«Lo so, lo so, non puoi vivere senza fucile. Lo sento, siete in simbiosi, ma non sarai permaloso?»
«Sono un cecchino!»
«Lo hai già detto. Non saranno così anche i tuoi amici?»
Sniper percepì di nuovo una variazione nel sudore di Alexsej. Fastidio? Poi lo vide alzarsi: aveva gli anfibi slacciati e si muoveva in maniera goffa. Si domandò un’altra volta perché non gli arrivasse l’impulso di ucciderlo. Non avrebbe sbagliato con un colpo a bruciapelo.
Forse non toccava lui. Forse il virus di Mezzanotte aveva in mente qualcosa d’altro per lui. Si domandò a chi sarebbe toccato l’onore di uccidere Alexsej.
Blaster era della sua stessa classe, quindi il virus si sarebbe comportato allo stesso modo. Lo stesso valeva per Brawler. Non conosceva altri Golem diversi da lui.
Chissà se il virus avrebbe finito per trasformarlo in un essere umano. Con la forza che aveva sarebbe potuto diventare un supereroe.
«Detto tra noi, prima di andare mi farei una dormita… avrei bisogno di dormire un poco. Ma non c’è tempo. Voi non dormite mai?» chiese Alexsej, poi si ricordò della nenia del Golem. «Sì, sì, non dirlo… io sono un cecchino, ahaha.»
Il Golem non fece una piega. Guardò Alexsej, nel momento in cui il supereroe fu distratto da qualcosa. Forse da un rumore impercettibile.
Sniper non capì, percepì di nuovo una forte variazione nell’odore del sudore del supereroe, causato da un’emozione di piacere. Poi lo vide chinarsi e lo notò aprire il palmo della mano lentamente. Subito dopo scorse uno strano e piccolo essere con le ali posarsi sul palmo della mano di Alexsej.
Il Golem non aveva mai visto nulla di simile. L’essere era di colore rosso con dei piccoli puntini neri sul dorso.
«Sai che animale è?» gli chiese Alexsej
Il golem negò con il capo.
«E' una Coccinella. Si chiama Coccinella: è da sempre un simbolo legato alla fortuna, si dice che quando vola e si posa sul dito anulare indichi una prossima relazione d'amore o amicizia, quando si posa sul medio indica invece un’idea positiva che ci giunge. Siamo messi bene. Grazie a te e a questo piccolo animale generoso riusciremo a portare a termine la missione che ci hanno affidato. È bello avere degli amici!»
Il Golem non disse nulla, sì era bello avere amici, pensò.
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martedì 19 giugno 2012

Capitolo 11 (di Mr. Giobblin)



Admiral City
San Antonio Canal
22 Aprile 2013
Ore 6.08 AM

Alexsej stava combattendo da ormai quasi due ore. Aveva perso il conto di quanti avversari aveva battuto: la zona era disseminata di corpi neri, macerie e rottami. Ma quelli continuavano ad arrivare, inarrestabili, incuranti dei colpi ricevuti.
Non si divertiva così da anni.
«Ci tenete davvero a stare con me, vero?» esclamò Alexsej colpendo uno dei gommosi con un potente calcio allo stomaco e schivando il pugno del suo compagno.
«Mi avete fatto scappare la reporter!» Abbattè anche il secondo con un montante alla mascella.
Le due figure vestite di nero si accasciarono al suolo.
«E state giù, maledizione!»
Alexsej si sedette sul cofano di un’auto distrutta godendosi la quiete. Non si vedeva anima viva nei dintorni. Lo scontro tra Uranium e il tizio in armatura aveva provocato notevoli danni, e anche i più curiosi (compresa la sexy reporter) avevano dovuto battere in ritirata prima di essere vaporizzati.
«Merda…» La felpa era strappata in più punti, e neanche gli anfibi erano in buone condizioni. «Lo sapevo, avrei dovuto indossare la tuta da combattimento. Scommetto che quelle fighette dello START non hanno mai problemi del genere.»
Il suono di passi veloci lo riscosse dai suoi pensieri. Si voltò rapidamente.
Un altro dei gommosi si stava avvicinando alla sua posizione con sempre maggiore velocità.
«Ti pareva… mai un attimo di pace.» Alexsej si alzò, si spazzò la polvere dalle ginocchia, e fece scrocchiare le nocche.
«Ehi tu, Gommoso! Ti faccio un indovinello: combatte come un idiota, ha l’alito che puzza e i denti fracassati. Chi è?»
«MEZZANOTTE!» gridò il suo avversario, balzandogli addosso.
«Sbagliato.» Alexsej lo colpì con un pugno al volto, dopodiché gli afferrò la testa e sferrò due rapide ginocchiate.
«Date tutti la stessa risposta. Non è neanche più divertente.»
Il gommoso si rialzò lentamente, sibilando.
«Oh, andiamo. Dovresti imparare dai tuoi compari. Sono Stakanov, e posso ballare per tutta la…»
Una scarica di energia luminosa avvolse Alexsej, accecandolo con un fortissimo bagliore argenteo. La sua testa si riempì di voci, e per un singolo istante percepì numerose presenze lontane, voci incomprensibili. Gridò, inginocchiandosi e reggendo la testa con le mani.
La luce svanì quasi subito lasciandolo privo di forze.
«Tu… Super…» sibilò il gommoso.
«Muori
Alexsej sollevò il capo, cercando di mettere a fuoco l’avversario. Era completamente indifeso. Tentò di alzare un braccio per difendersi, ma gli sembrava di muoversi al rallentatore.
Chiuse gli occhi aspettando il colpo di grazia.
Dopo qualche secondo, li riaprì.
Il gommoso era accasciato a terra di fronte a lui, privo di gran parte della testa.
Alexsej si rialzò con cautela, cercando di ignorare il mal di testa e la vista traballante.
Il suo avversario era decisamente morto. Ma chi lo aveva eliminato?
«Alexsej Stakanov» esclamò una voce metallica alle sue spalle. Alexsej si voltò.
Si trovò di fronte una specie di robot umanoide armato con un enorme fucile.
«Nome in codice Stakanov, conosciuto anche come Red Skeleton. Livello Teleforce: 987. Stato: Vivo
«E tu… tu chi diavolo sei?»
Per tutta risposta, l’occhio centrale del robot si illuminò proiettando un fascio di luce sul terreno.
«Cos…» Alexsej arretrò istintivamente. «Un momento… è un ologramma quello?»
Dal fascio di luce emerse una piccola figura che divenne via via più nitida.
«Da quanto tempo, Alexsej.»

***

«Angela… Angela Solheim?»
«In persona.» La ragazza nell’ologramma era vestita con una tuta stealth nera e grigia, e i suoi capelli erano bianchi come la neve. «Felice di sapere che sei vivo.»
«Ma che diavolo…?»
«Parli della luce? Ha colpito anche me. L’effetto dovrebbe svanire a momenti.»
Aveva ragione: la vista e l’udito di Alexsej si erano stabilizzati, e non percepiva più le presenze con la stessa intensità.
«Che cos’era?»
«Sto ancora cercando di capirlo. L’unica cosa certa è che veniva dalla Salazar Tower. Sei solo?»
«Sì, ora sì. C’era Uranium con me, fino ad un paio di ore fa… se ne è volato via con un tizio in armatura nera. Non l’ho più visto.»
«L’ho già contattato, tranquillo. E’ conciato male, ma uno dei miei Golem è con lui.»
«Golem?»
«Lunga storia. Questo è Sniper, a proposito. Credo ti abbia appena salvato la vita.»
Alexsej osservò il robot e appoggiò la mano sulla corazza bronzea.
«Grazie, amico.»
«Non mi tocchi, per cortesia
«Ma che roba è? Non è metallo.»
«E’ un composto a base di calcio di mia invenzione. Più resistente dell’acciaio.»
Alexsej ritirò la mano e soppesò il Golem con lo sguardo.
«Se la cava con quel fucile, a quanto ho visto.»
«Ogni Golem è specializzato in un determinato ambito. Sniper è un cecchino senza pari, e il suo fucile al plasma è letale. L’ho inviato ad Admiral City insieme ad altre sei unità per contribuire a respingere Mezzanotte e i suoi tirapiedi.»
«Perché non sei venuta di persona? Ti ho visto combattere. Faremmo scintille insieme…»
«Sarei venuta, ma ci sono state… complicazioni.»
«In che senso?»
«I Triari. Mezzanotte ha attaccato anche il mio centro di ricerca. Li stiamo respingendo, ma temo che presto dovrò abbandonare il laboratorio.»
«Merda.»
«Già. Non so come, ma uno dei suoi ha manovrato uno dei miei collaboratori più stretti e manomesso le difese. Come se non bastasse, ci stavano sottraendo dati da mesi. Vorrei sbagliarmi, ma il fascio di luce di poco fa… temo abbiano usato le mie ricerche per crearlo.»
«Mi dispiace.»
«Non ti preoccupare. Troverò una soluzione. Nel frattempo, dovresti fare una cosa per me.»
«E’ sempre un piacere lavorare sotto il tuo comando!» disse Alexsej con un ghigno.
«Metti insieme una squadra. Recupera Uranium e cerca i miei Golem. I più vicini sono Blaster e Brawler. Dovete entrare nella Salazar Tower e cercare Eddie Simmons.»
«Eddie? Mr. Basilico? Che gli è successo?»
«Lo hanno portato dentro la torre. Non ho tempo per spiegare, ma grazie a lui le mie ricerche hanno fatto passi da gigante. E’ un Super unico, e credo che Mezzanotte lo stia sfruttando per il suo piano.»
«Non possono pensarci i professionisti, tipo AD o Lady Liberty?»
«Non sono ancora usciti dalla torre… Brutto segno. Qualunque cosa li stia trattenendo deve essere molto potente.»
Alexsej sospirò.
«Come minimo dovrai uscire con me una volta che questa storia sarà conclusa. L’ultima volta è stata divertente.»
Angela sorrise.
«Contaci, Alexsej. Ora devo andare. E stai attento. Temo che questo sia solo l’inizio.»
L’ologramma svanì, lasciando soli Alexsej e Sniper.
«Vecchio mio… questo potrebbe essere l’inizio di una splendida amicizia.»

***

Prigione di Massima Sicurezza CeSoR
Caguas
Ore 6.18 AM

Camminando lentamente tra i resti fumanti della prigione, Psiblade inspirò aria libera per la prima volta dopo anni.
«Muoviti, Magmarus. Non abbiamo tutto il giorno».
Un uomo si avvicinò, sorreggendo una gigantesca figura.
«Calma, bella. Indovina chi altro ho liberato dalla criostasi.»
«Non ci credo… Starcrusher!»
Il gigante sollevò lo sguardo.
«Stavamo giusto per volare verso Admiral City. Ho percepito un bel po’ di cose interessanti. Che hai voglia di fare?»
Starcrusher mosse qualche passo incerto, poi inspirò profondamente.
Il suo corpo venne avvolto da scariche elettriche purpuree.
«Uccidere… uccidere American Dream
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martedì 12 giugno 2012

Capitolo 10 (di Cuk)



Salazar Tower.
Admiral City
22 aprile 2013
Ore 06:10 A.M.

L'ascensore si apri e Bonnie si trovò in un cilindro trasparente, in una stanza in penombra nei sotterranei.
Colonne di metallo sorreggevano il soffitto e un uomo massiccio si muoveva tra computer e controlli.
Bonnie si gettò contro il cristallo che la rinchiudeva,battendo i pugni
«Padre! Padre! Fammi uscire di qui!»
Suo padre, il viso senza tempo illuminato dalla luce fredda dei monitor, la guardò e sorrise.
«Benvenuta, figlia mia» disse. Poi tornò a concentrarsi sul suo lavoro. « Il cristallo è per tua protezione. Sii paziente, l'ospite d'onore non è ancora arrivato.»
Bonnie diede un'ultima spallata prima di ammettere, massaggiandosi la spalla, che per lei era troppo. Si rese conto anche di un'altra cosa. Una pulsazione proveniva dalle colonne attorno a suo padre, una sintonia che le risuonava dentro, e cresceva.
«Cosa stai facendo, padre?» gridò.
La porta si spalancò. Fluttuando entrò American Dream. Accasciata sulla sua spalla c’era una donna vestita coi colori di Fortress Europe, senza sensi. Col pugno destro stringeva il corpo di Sunlight, che strisciava sul pavimento lasciando una scia rossa.
«Ame...!» l'urlo le si spense in gola. American Dream l’aveva sempre intimorita: non si poteva stare nella stessa stanza senza essere schiacciati dal senso della sua presenza,ma ora… Bonnie non sapeva cosa gli fosse successo, ma la sua aura era travolgente e il suo viso…
Bonnie fu improvvisamente contenta dello spesso cristallo tra lei e loro.
American Dream posò i corpi a terra.
Suo padre aveva un’espressione triste in viso. « Non si poteva evitare ? » chiese indicando Sunlight.
«No, Salazar. L'idiota ha lottato fino all'ultimo».
Suo padre sospirò.
All'improvviso, uscendo da un bozzolo di tenebra più nera delle ombre della sala, apparve una donna, trascinando una svenuta Lady Liberty per i capelli .
Scarlett Johansson?!? Poi Bonnie notò il fumo nero che usciva dalla bocca dell'attrice a ogni respiro. NightShifter.
«Libby! » gridò American Dream
Scarlett sollevò Lady liberty e la lanciò verso American Dream, che la prese al volo, stringendola protettivo.
«Non ti azzardare mai più a toccarla, animale.»
«Ti ho crocefisso una volta, bello.» disse l'attirce grattandosi una natica. «Se non ti è bastato posso rifarlo.»
«Hai crocefisso American Dream, coglione. Toccala ancora e io ti faccio a pezzi.»
«BASTA!» disse suo padre. «È arrivato.»
Dalla porta spalancata entrò un Triario. Sottobraccio portava Dehydra, priva di sensi. E davanti a lui, zoppicante, pesto e gonfio, camminava un ragazzo.
«Eddie! Eddie! »Bonnie si getto di nuovo contro il vetro, pur sapendo che era inutile.
«Ben arrivato, Eddie» disse suo padre . «Ti stavamo aspettando.»
Il Triario spinse Eddie verso suo padre.
Eddie barcollò, avvicinandosi; Bonnie lo vide cercare di vedere qualcosa attraverso gli occhi gonfi. Le sue labbra spaccate si mossero.
« Sei… sei tu Mezzanotte?» biascicò.
Suo padre sorrise divertito «Oh Eddie. Ancora non hai capito chi è Mezzanotte?»
Tirò una leva, e con un ronzio Bonnie vide tutte le colonne illuminarsi, una bianca luce vibrante, che pulsava a ritmo con quando sentiva dentro. Teleforce.
«Padre! Padre cosa stai facendo?!»
«Finisco quello che ho cominciato 40 anni fa.» disse suo padre. E tirò un'altra leva.
Ci fu un tuono, e fulmini sfrigolanti saettarono dalle colonne centrando Eddie in pieno petto.
Bonnie gridò. Eddie era a braccia spalancate, scosso dall'energia che fluiva. Bonnie socchiuse gli occhi, la luce era troppo intensa, il rombo copriva ogni cosa. Vide perfino American Dream arretrare di un passo, coprendosi il volto.
E infine una sfera di luce argentea si sprigionò da Eddie. Una luce densa e pesante, che la colpì e la trapassò come una cosa viva, continuando a crescere e ad espandersi al di fuori del sotterraneo. Per un istante Bonnie fu tutt'uno con essa, e la sentì continuare nella sua corsa, sempre più lontano, sempre più veloce, avvolgendo ogni cosa con la sua luce argentata.
Poi la luce scomparve, e lei si accasciò nel suo cilindro. Cercò Eddie, ma era ancora abbagliata, non vedeva niente, solo ombre.
«Gli altri Sei?» sentì dire a suo padre «Ora li percepisci?»
«Sì» disse American Dream.
«Vai allora.»
Bonnie svenne.

***

Laboratorio,
centro START.
22 aprile 2013
Ore 06:15 A.M.

Cheveaux d’Ange si rialzò dal pavimento del laboratorio. Davanti agli occhi gli ballavano lampi neri, e la testa risuonava ancora come una campana. Quella luce argentata era scomparsa di colpo così come era arrivata. Rushmore si stava alzando a sua volta, malfermo sulle gambe.
«Professore? Tutto bene?» chiese Cheveaux d’Ange.
Rushmore si passò una mano sul cranio rasato.
«Affascinante! Io… » Rushmore si interruppe, ondeggiando come un ubriaco.
Cheveaux d’Ange corse a sorreggerlo, anche se sentiva di aver bisogno di qualcuno che sorreggesse lui.
«Piano, piano prof. Ma che diavolo è stato?»
Si appoggiarono al bio-lettino dove Scanner stava sdraiato immobile.
«Oh, teleforce, francese. Un’ondata di energia pura. E» si portò una mano alla tempia «non senti niente di diverso? »
Cheveaux d'Ange lo guardò.
Diverso? Sentiva le menti delle persone nell’edificio, come sempre. E poi si accorse di qualcos’altro. Un senso di presenza. Non altre menti, no. Ma percepiva altre persone, la loro essenza. Circa duecento, forse meno. E alcune erano lontanissime, ben oltre la portata della sua telepatia.
«Cosa? Chi sono?» chiese.
«Ah, francese, davvero non capisci? Siamo noi, ragazzo. È teleforce. Sono gli altri super. Siamo collegati, ora».
«Ma perché? che significa?».
Rushmore sorrise.
«Non ne ho la minima idea. Non è affascinante?».
E d’un tratto Scanner si sussultò, facendoli sobbalzare. Sbatté la testa e piedi contro il letto, sollevandosi e inarcandosi in preda alle convulsioni. Schiuma bianca gli sprizzò dalle labbra.
«Scanner! Scanner! » Chiamò Cheveaux d’Ange, afferrandolo per le spalle, cercando di fermare quella crisi.
«Ragazzo, attento. Potrebbe... »
Scanner di scatto afferrò la testa di Cheveaux d’Ange tra le mani, spalancando gli occhi. Cheveaux d’Ange sentì la mente di Scanner avvolgere la sua e si inarcò cercando di allontanarsi. Scanner stava trasmettendo, inviando. Cheveaux d’Ange cercò di staccarsi, ma quegli occhi lo tenevano inchiodato Sentiva un sussurro, parole inintelligibili che gli riversavano nel cranio. Urlò.
E poi Scanner si accasciò. Dagli occhi e dalle orecchie gli colava sangue nero. Era morto.
Ma il suo messaggio era arrivato. Cheveaux d’Ange si aggrappò a Rushmore, stordito.
«Oh, no! No! Non è affatto come pensavamo!»
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martedì 5 giugno 2012

Capitolo 9 (di Cristiano Pugno)




Salzar Tower.
Admiral City
22 aprile 2013
Ore 06:00 A.M.

«Signora Johansson?»
Scarlett udì un suono indistinto, una voce fantasma che fluttuava nell’etere.
Cercò di aprire gli occhi, di concentrarsi su quell’ eco che veniva da lontano.

«Signora Johansson?»
Scarlett si mosse cercando di recuperare il controllo dei suoi arti.
L’ultima cosa che ricordava era il distretto di polizia di Hato Rey, aveva cercato di uscire, poi era stata colpita da una grossa scarica di energia ed aveva perso i sensi.
Adesso era immersa in una specie di poltiglia nerastra, dalla consistenza collosa.
Nella penombra scorse la sagoma di una altra persona, la riconobbe subito, era Lady Liberty la famosa Super.
Il cervello di Scarlett ricominciò a funzionare a pieno regime e subito capì di essere finita in un mare di guai.

«Lady Liberty è lei?»
«Sì, sì, sono io. Stia tranquilla andrà tutto bene.»
«Se anche lei è rimasta bloccata qui, ho i miei dubbi che le cose possano andare bene», commentò Scarlett con un tono che voleva essere normale.
Libby fece una smorfia, indecisa se essere felice che l’attrice stesse bene o contrariata per il non poter far nulla.
Scarlett continuò a contorcersi per cercare di riprendere una posizione eretta.
Indossava ancora la divisa della polizia di Admiral City che aveva trovato nello spogliatoio del distretto.
La placca argentata del distintivo aveva strani riflessi bluastri e la scritta con il nome “B. IOLL” era come attraversata da piccole scintille.

* * *

Al piano terra Bonnie si aggirava per i corridoi vuoti.
Si inchiodò tra le ombre, schiena al muro. Scrutò nella semioscurità colore del piombo. Non molto da vedere. Solamente residui della demolizione. I preziosi quadri ridotti a pezzi, pavimento pieno di fogli, documenti nel vento.
Non avrebbe dovuto esistere nessun vento.
Non là dentro.
Invece esisteva.
Penetrava dallo squarcio nella parete sventrata in più punti dalle esplosioni. Sibilava nella torre a sussulti.
E poi lo sfrigolio della Teleforce.
Pulsava senza sosta, disseminata in tutti gli ambienti.
Soffitti, angoli, porte, travi, pilastri erano attraversati dalle scariche, e questo non era affatto un buon segno.
Improvvisamente le porte dell’ascensore si aprirono con un sibilo sommesso.
«Vieni da me, Bonnie» la voce di Ramon Salazar esplose nel silenzio.

* * *

Scarlett cercò di guardarsi intorno, si trovava in una specie di gabbia trasparente, la volta a cupola pareva non avere interruzioni.
Fissò il volto di Lady Liberty, aveva l’impressione che le stesse parlando, ma lei non sentiva nulla, come se la Super fosse intrappolata in un acquario.
Udiva voci che provenivano da lontano, come echi in sottofondo. Cercò di concentrarsi, focalizzare la situazione in cui si trovava, ma non riusciva.
La sua mente iniziò a confondersi.
Era come se un fiume le stesse entrando nella testa, portandosi via tutti i ricordi, lasciando il vuoto.
Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, ma non udì nulla.

* * *

L’essere composto di ombra la fissava dall’alto, nello sguardo di Scarlett vi era ormai solo il vuoto.
Si volse verso l’esterno, il cielo sopra al porto aveva il colore come quello di un televisore mal sintonizzato, probabilmente erano i poteri di Uranium che stava combattendo contro i suoi Triari.
Ma ora non era quello il suo problema, doveva sistemare gli altri pagliacci in calzamaglia, iniziando da quella bamboccia iperattiva.

Le porte dell’ascensore si chiusero senza rumore ed il cilindro di vetro e acciaio sprofondò nelle profondità della Salazar Tower, lasciando Bonnie senza fiato.


* * *


Libby osservò gli occhi di Scarlett spegnersi. Il volto, reso famoso da Hollywood, trasfigurarsi in una maschera orribile.
Cercò di muoversi, voleva avvicinarsi, scuoterla, ma la sostanza vischiosa le rendeva difficile fare qualsiasi movimento.
Un vortice di pensieri inziò a formarsi nella sua testa, cercò di concentrarsi sulla missione, su Matt, ma non riusciva.
Davanti agli occhi comparvero le immagini della sua vita, i volti dei suoi genitori, lei bambina, l’incidente, le missioni per conto dello START.
Un unico vortice di ricordi che si allontanava, scoloriva, cancellandosi in una nebbia sempre più confusa.

Una risata che non aveva nulla di umano riempì tutto il locale.
Anche se non era possibile, qualcuno avrebbe detto che l’essere oscuro stava ridendo.

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