martedì 25 settembre 2012

Capitolo 24 (di Gherardo Psicopompo)




Un punto imprecisato sopra l’Oceano Atlantico
12.000 metri di altezza
22 Aprile 2013
Ora di Admiral City: 06.45

Wael Ghaly comandò silenziosamente a uno dei canopi che lo avevano seguito in quel viaggio di portargli il telefono satellitare.
Se lo rigirò per un po’ tra le mani, pregustando la chiamata che lo avrebbe portato un po’ più vicino al suo obiettivo. Doveva aspettare ancora almeno un’ora prima di atterrare ad Admiral City, quindi tanto valeva non affrettare le cose.
Assaporò lentamente l’ultimo goccio di karkadè ghiacciato.
Compose il numero.
Dopo il secondo squillo, un agitatissimo tenente Alex Ross rispose al telefono.
«Tenente colonnello Alex Ross. Chi parla?»
«Io e lei non ci conosciamo di persona, tenente Ross. Tuttavia io ho sentito molto parlare di lei. E lei di me.»
«Senti amico, questo non è il momento...»
«Oh, io invece credo proprio che lo sia. Vede, tenente Ross, io so che voi di Admiral City avete un grosso problema. E forse posso fare qualcosa per aiutarvi a risolverlo.»
Un lunghissimo momento di silenzio precedette la domanda di Alex Ross.
«Chi è lei?»
«Quasi tutti mi conoscono come il Grande Toth.»
«Lei è il signor Ghaly? Il presidente Egiziano?»
«Precisamente. Dunque, tenente Ross, dicevamo di quel problema...»
«Lei cosa sa?»
«Tutto, sostengono alcuni. La verità è che so molte cose. E tra queste c’è il fatto che presto avrete una bella patata bollente per le mani. Una patata di teleforce, per essere più precisi.»
«E... ? »
«E io vi posso offrire qualcuno disposto a mangiarla in un sol boccone, quella patata. Senza paura di scottarsi la lingua.»
Passarono ancora alcuni secondi di silenzio, durante i quali il tenente Alex Ross probabilmente cercava con lo sguardo un suggerimento dai suoi superiori, mentre Wael Ghaly sorseggiava soddisfatto un nuovo bicchiere di karkadè.
«Immagino che questo... aiuto non giunga da parte sua in  via del tutto disinteressata. O sbaglio, signor presidente?»
«Voi americani non andate tanto per il sottile, vero? È un peccato che vi sfugga in questo modo il piacere della trattativa.»
«Dunque?»
«Dunque, vi offro uno scambio, niente di più semplice.»
«Uno scambio tra il suo provvidenziale mangiatore di patate bollenti e... ?»
«E Angela Solheim.»

***

Admiral City,  Salazar Tower
Ore 07:10
«Svegliati! Eddie, svegliati maledizione!»
La voce gli giungeva lontana e ovattata, quando aprì gli occhi vide solo immagini sfocate. Lentamente si sforzò di riprendere conoscenza, mentre sentiva che qualcuno lo scuoteva e lo prendeva a schiaffi.
«Andiamo! In piedi!»
«La delicatezza non è mai stato il tuo forte, eh Bonnie?»
Bonnie smise di prenderlo a schiaffi e lo aiutò ad alzarsi.
«Non è il momento, Eddie! Dobbiamo sbrigarci, Mezzanotte se n’è andato via! Con mio padre! Erano diretti in cima alla torre...»
«E tu che vorresti fare? Fermarli? Da sola?»
«Con te!»
«Io al massimo posso far crescere un gigantesco fagiolo magico fino in cima al palazzo, lo sai.»
«Piantala di fare l’idiota! Il momento dell’autocommiserazione è finito. Dobbiamo muoverci Eddie, prima che sia troppo tardi!»
«Va bene, ricevuto, andiamo a farci ammazzare.»
«Prima, mentre venivo qui, ho visto Uranium che si dirigeva verso i piani alti della torre. Potremmo trovare anche lui, spiegargli come stanno le cose e farci dare una mano.»
Eddie e Bonnie si diressero verso il corridoio che conduceva agli ascensori, ma prima che potessero arrivare all’imboccatura del passaggio una voce dietro di loro gli fece gelare il sangue.
«Dove credete di andare, ragazzi?»
I due si voltarono, e si trovarono davanti American Dream, con i lineamenti distorti da un ghigno mostruoso e fumo nero che gli usciva dalla bocca.
«Nightshifter!»
«Mi dispiace ragazzi, ma i capi non vogliono interferenze lassù. Non costringetemi a trattenervi con la forza.»
American Dream scattò in avanti a supervelocità non appena si accorse che il suo sterno stava cominciando a spingere per uscire fuori dal petto. Riconobbe immediatamente il potere di Bonnie, e in meno di un secondo piombò su di lei colpendola con una spallata e scaraventandola contro il muro, a qualche metro di distanza.
Pezzi d’intonaco si staccarono per la violenza dell’impatto.
«Bonnie!»
Eddie si precipitò verso di lei per cercare di soccorrerla. American Dream/Nightshifter li guardava da lontano con un sorriso sprezzante stampato in faccia.
«Tranquillo Ed...» la voce di Bonnie era un sussurro strozzato, mentre Eddie le teneva la testa tra le braccia «indurisco sempre un po’ le mie ossa prima di uno scontro. Non mi ha fatto poi così male.»
Il sangue che Eddie si ritrovava sulle mani e l’orecchio quasi spappolato di Bonnie facevano pensare il contrario.
«Pezzo di merda...»
Eddie si accorse solo in quel momento che stava stringendo in mano un orecchino di Bonnie. Era sporco di sangue, e Eddie lo osservava incuriosito mentre mutava, nel palmo della sua mano. Improvvisamente, l’oggetto era come scosso da brividi, lo vide ingrossarsi, gonfiarsi, farsi viscido e verdastro. Poi spuntarono le prime due zampe. Poi altre due. Quando, inorridito, Eddie lo lasciò cadere a terra imprecando, si accorse che era una rana.
Eddie e Bonnie la osservarono saltare via, verso il fondo della sala.
«Eddie ma che cazzo...»
«Sono stato io? L’ho fatta io quella... Cosa?»
Eddie si guardava i palmi delle mani, incredulo.
American Dream, dal canto suo, sembrava non aver nemmeno notato la scena. Se ne stava all’imboccatura del corridoio, dove si trovavano i due ragazzi prima che lui schiantasse Bonnie contro il muro.
«Sai? Credo che mi sia venuta un’idea.» disse Eddie mentre si slacciava le scarpe.
«Che?»
«Lasciami fare. Devo sperimentare. È solo sperimentando che i grandi geni della storia hanno fatto quello che hanno fatto.»
Strinse tra le mani una delle sue scarpe, si concentrò, e un attimo dopo teneva in mano una ghianda. Se la rigirò soddisfatto tra l’indice e il pollice.
Poi fece lo stesso con l’altra scarpa.
«Ah-a! Fortissimo!»
«Ma si può sapere che cazzo fai?» Bonnie si era spazientita, e cercava di rialzarsi, mentre da sopra la spalla di Eddie sbirciava American Dream che faceva la guardia all’imboccatura del corridoio.
«Credo che sia successo qualcosa... Al mio “dono”, intendo.»
«Che cosa? »
«Il mio potere... Credo si sia evoluto.»
«Sei un Pokemon adesso? »
«Non scherzare. Se ho capito bene come funziona, ora posso davvero “dare la vita”. Posso trasformare in qualcosa di organico ciò che non lo è! »
«Tu... Puoi fare cosa?! »
«Te l’ho detto! Posso farlo! Trasformo gli oggetti in piante, in frutti, persino in animali! Guarda!»
Si staccò un bottone, che improvvisamente diventò una mosca e volò via.
«Visto? Ora vieni, aggrappati a me, e non preoccuparti. Ce ne andiamo da qui.» 
Appoggiò a terra una delle due ghiande, e mise l’altra in tasca.
«Ehi amico! Non ti secca se facciamo un salto su, vero? »
American Dream si voltò verso di loro, giusto in tempo per vedere delle gigantesche radici spuntare sotto i piedi di Eddie e Bonnie, che un attimo dopo erano spariti, inghiottiti da fronde immense. Una sequoia gigantesca era cresciuta a velocità sorprendente nell’angolo della stanza. E continuava a crescere, senza fermarsi. Le radici spaccavano il pavimento, formando crepe e rigonfiamenti. Il tronco diventava sempre più largo e più alto, le fronde più fitte.
Nel giro di qualche secondo i rami più alti avevano raggiunto il soffitto e lo avevano riempito di crepe. Poi lo avevano sfondato.
«Merda!»
Nightshifter si alzò in volo, sfondando il soffitto e ritrovandosi al piano superiore.
Al centro della stanza, non lontano dal buco nel pavimento, cresceva una seconda quercia che arrivava al piano superiore.
«Ti diverti, eh, Prezzemolino?» e passò al piano superiore, sempre sfondando il soffitto.
Si guardò intorno, cercando tracce dei due fuggitivi nella sala deserta.
Nel frattempo, nascosti tra le fronde della prima sequoia, Eddie e Bonnie pensavano a come sfruttare il vantaggio dell’effetto sorpresa.

***

Admiral City
Nel cielo sopra al centro START
22 Aprile 2013
Ore 07.50

«Dunque abbiamo un accordo?»
«Così sembrerebbe, signor Ghaly.»
«Ora da questo aereo verrà calata una cassa in titanio, direttamente sopra l’eliporto del vostro quartier generale. Nella cassa c’è la vostra... soluzione. D’ora in poi ci riferiremo a lei come Ammit. Uno dei miei uomini scenderà per mostrarvi come controllarla. È fondamentale la presenza di uno dei vostri telepati.»
«Bene.»
«Dopodiché, io e i miei uomini avremo la piena libertà di utilizzare qualunque mezzo...»
«A patto di non nuocere ai civili.»
«Naturalmente. Qualunque mezzo, dicevo, per prelevare dal suo laboratorio la dottoressa Solheim e tutto il contenuto del laboratorio stesso.»
«Esattamente.» la voce del tenente Ross tradiva la sua disapprovazione per ciò che era stato deciso malgrado la sua ferma decisione di opporsi alla trattativa con il Grande Toth.
«Senza nessuna interferenza da parte vostra, né della vostra squadra di Super.»
«Sì.»
«Molto bene, tenente. Iniziamo la procedura per il trasferimento di Ammit.»
Wael Ghaly riagganciò e si concesse un sorriso soddisfatto. Poi comandò mentalmente a uno dei suoi canopi, opportunamente equipaggiato con una tuta policarbonica che lo proteggesse dal potere di Isabelle, e con il volto coperto da una maschera che raffigurava la testa del dio Anubis, di scendere insieme ad Isabelle.
«E’ davvero un peccato. Non si prova nessun gusto a intavolare trattative con chi non apprezza fino in fondo questa nobile arte.» 
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martedì 18 settembre 2012

Capitolo 23 (di Mirko Borghini)




Admiral City 
Independence Boulevard 
22 Aprile 2013 
Ore 7.00 AM

Un uomo stava osservando le scariche elettriche partire dai suoi palmi e friggere i fiocchi di neve.
Un altro piangeva lacrime di fuoco sul corpo inerme di Psiblade. «Bastardi, vi ammazzerò tutti come dei cani».
«È stata uccisa da un arma da taglio, oserei dire da una spada. QUELLA spada», gli fece notare amaramente Starcrusher.
Magmaurus scatenò il suo potere, il capo completamente avvolto dalle fiamme, la pelle che ribolliva come lava. Una torcia umana.
L’urlo «MUSASHI KENSEI!!!» riempì l’isolato.

***
Admiral City 
Sunrise Boulevard 
22 Aprile 2013 
Ore 7.40 AM

Rogerio era pronto con la telecamera in spalla, aspettava solo un cenno di Maria che si stava rassettando il vestito. Lei mosse il capo e si posizionò davanti alle macerie e alle squadre di pronto intervento. La spia del teleobiettivo divenne rossa.
«Qui Maria Espantoso per la ACN, siamo in diretta da Sunrise Boulevard, Admiral City, nei pressi della Torre Salazar, dove è in atto un attacco terroristico di impronta superumana. Si sono verificati numerosi attentati per tutta la città, l’evacuazione procede lentamente ma le forze dell’ordine si sono subito attivate per dare sostegno alla cittadinanza. È previsto a breve l'intervento dell'esercito, voci non confermate parlano di svariati aiuti provenienti anche dall'estero.»  
La gente in strada era in preda al panico e correva in mezzo alle macchine, cercando di allontanarsi il più possibile dal centro città. Poliziotti spaesati cercavano di bloccare le auto che ormai intasavano la carreggiata per permettere il passaggio alle ambulanze gremite di feriti. I vigili del fuoco cercavano feriti nelle macerie e spengevano i roghi che spuntavano tra le palazzine. La situazione era peggio di Rodeo Drive.
«Le temperature hanno subito una irrealistica impennata verso il basso. Un inspiegabile fenomeno atmosferico. È aprile e a Puerto Rico sta nevicando. Neve rossa, come il sangue. Questa è una giornata indelebile per la storia dell’umanità.» 
La città era immersa da una spaventosa luce purpurea che proveniva dalle nuvole. Era sicuramente peggio di Rodeo Drive.
«Ricordo infine ai nostri telespettatori che è possibile aiutare chi ha perso casa o lavoro. E' sufficiente inviare un sms o fare una telefonata al numero della solidarietà 555-HELP, per fare una donazione alla popolazione di Admiral City. Ora vi riproporremo il video esclusivo degli attacchi avvenuti questa notte nella zona portuale. A presto per un aggiornamento, qui Maria Esposito per la ACN, Grazie.» 
Appena si spense la spia, la giornalista disse entusiasta al suo cameraman «Quest’anno il Pulitzer è nostro!», ma Rogerio era più impegnato a vedere verso l’alto che ad ascoltare la collega.
Una serie di caccia sfrecciava davanti e ai lati di un cargo militare. Maria strizzo gli occhi e si concentrò sulla carlinga dell'aereo da trasporto: scritte in arabo e un curioso disegno stilizzato raffigurante un pennuto.

***
Admiral City 
Nei Pressi della sede START
22 Aprile 2013 
Ore 7.20 AM

«Per me è una stupidaggine quella che stiamo facendo. Vuoi lo START? Vai alla Torre e lì troverai sicuramente chi cerchi», disse Stakanov mentre il van continuava a sfrecciare sulle strade della città.
Musashi, alla guida, in rigoroso silenzio.
Stakanov continuò «Deve essere successo qualcosa di grosso alla Torre, ma qualcosa di grosso veramente, io e il mio amico di latta c’eravamo sotto, insieme a svariati sbirri, e PUFF, ci siamo ritrovati TUTTI teletrasportati in mezzo alla città, come se qualcuno non ci volesse intorno…» . Il samurai non fece una piega. 
Il ragazzo si girò verso Sniper, alzò le braccia in segno di resa. Il golem non si mosse.
«…e poi l’hai vista quella neve rossa che sta scendendo in centro città? Viene dalla Torre, amico. Dalla TORRE. Tu stai andando nella parte opposta.»   
Allontanandosi dal centro la neve si diradava e le temperature ritornavano primaverili. Sembrava quasi non fosse successo nulla.
«Ammettilo, stai scappando. Eri in galera con quella brutta ceffa. Sei un delinquente.» disse Stakanov spazientito.
«No.» Rispose Musashi. «Dovevo parlare con qualcuno rinchiuso al CeSoR, nessuna possibilità di usare canali legali. Il modo più veloce per farlo era di farmi mettere dentro.» 
«Almeno hai trovato quello che cercavi?» 
«No».
Nell’abitacolo ci fu un momento di silenzio imbarazzante interrotto dalla risata sguaiata di Stakanov che trovava la situazione, in un certo modo, divertente. Subito dopo sentì uno strano fischio provenire dall’esterno.
«Ehi, Musashi hai sentito questo fisc…» Un esplosione davanti al van interrupe la conversazione.  
Kensei sterzò cercando di evitare le fiamme e, diradatosi il fumo, vide un carro armato ad un centinaio di metri di distanza con il cannone che puntava il camioncino. Decise di sterzare dentro ad un vicolo e mettersi al riparo.
«Allora il discorso è semplice, noi non ammazziamo le persone normali, capito?». Il samurai si rivolse al ragazzo.
«Tranquillo, tu apri il carro come una scatoletta e io ballo un po’ di disco come negli anni ‘70», rispose Alexsej ma Musashi era già uscito. 
Il ragazzo si girò verso il golem, gli diede due amichevoli schiaffetti sulla faccia «Bello, stai di guardia al furgone, ok?».  
Sniper stritolò in malo modo il fucile ma, vedendo il sorriso del ragazzo, annuì.
Stakanov iniziò a correre, tirandosi il cappuccio fin sopra la testa. Lo scheletro rosso in azione.
Il samurai aveva già tagliato a fettine il cannone e ora stava incidendo la parte superiore della torretta.
Lo scheletro rosso saltò sul carro e con un calcio fece volare via la parte tagliata della corazza, scoperchiando completamente l’abitacolo. All’interno c’erano due militari rannicchiati e impauriti che parlavano un idioma a lui conosciuto.
«Merda, ma questi sono militari russi. Che cosa ci fann…» Alexsej rimase ammutolito. A mezzo chilometro di distanza stavano sopraggiungendo una moltitudine di mezzi militari di svariato tipo con insegne provenienti da tutto il mondo.
«E non vorrei dirtelo ma quelli là non sono solo russi», disse il ragazzo.
«Io se fossi in te non mi concentrerei sui militari quanto su quello che abbiamo sopra le nostre teste», gli fece notare Musashi.
Stakanov alzò lo sguardo. Pur con il suo superudito non li aveva sentiti arrivare. Una miriade di Triari era appollaiata sui tetti dei palazzi. Pronti ad attaccare.
Alexsej si girò accigliato verso il samurai «Te lo avevo detto che non bisognava andare allo START.»
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giovedì 13 settembre 2012

È tempo di distruzione



Breve annuncio ai naviganti, rivolto soprattutto a coloro che entreranno in gioco da ora per scrivere i 10 capitoli finali della Round Robin.

Il lavoro realizzato fino a questo punto è eccellente, non a caso i complimenti arrivano anche da chi era partito prevenuto riguardo alle storie di e con supereroi.
Ora però arriva il momento in cui tutti i nodi vengono al pettine. Quindi, coi poteri conferitimi dallo START, comunico le seguenti cose:


  • Punto uno: Cercate di non inserire ulteriori sottotrame e intrighi nella storia e concentratevi sul chiudere le molte parentesi aperte. Rileggete la storia (comodamente scaricabile in formato ebook - trovate i link al termine di ogni capitolo) e decidete dove intervenire. Non abbiate paura di contattare gli altri autori per chiedere un consiglio o per concordare una storyline comune, soprattutto nel caso in cui i vostri turni di scrittura siano conseguenziali. 
  • Punto due: Da questo momento e fino alla fine alzo il tetto massimo di parole consentite a 1500. Cinquecento parole in più, proprio nell'ottica di chiudere man mano i vari scenari rimasti in sospeso. Confido nel fatto che sfrutterete questo bonus nel migliore dei modi. Quindi i nuovi termini del regolamento sono questi: capitoli con un minimo di 500 parole e un massimo di 1500.
A cose fatte vi parlerò poi degli extra che seguiranno alla Round Robin. Senza dimenticare che nel mentre potete scaricarvi tutti gli spin-off di 2MM. Gratuiti, non preoccupatevi. Li trovate in questa pagina.

martedì 11 settembre 2012

Capitolo 22 (di Nicola Corticelli)









Chicago
Gennaio del 1973                                                                                                               

«È venuto anche oggi.» 
La voce di Ellie era una misto fra un risolino e bisbiglio.
L'altra ragazza, una giovane sulla ventina e dai lunghi capelli castani raccolti a coda di cavallo, si limitò appena a sollevare il capo dai fogli che stava leggendo.
«Come?» 
Ellie si avvicinò alla collega con fare complice e parlò ancorapiù a bassa voce: «Dai il nuovo arrivato della sicurezza, in questo ultimo periodo ha preso il vizio di gironzolare qua attorno.» 
E accompagnò la frase con un leggero cenno del capo.
La ragazza con la coda di cavallo volse lo sguardo su un giovane sui ventisei-ventisette anni con l'uniforme del servizio d'ordine della centrale.
«E allora?» 
«Per me è interessato a qualcuno nel nostro ufficio.» 
L'interlocutrice di Ellie si limitò a fare una smorfia, ma quest'ultima continuò imperterrita: «Vediamo se mi segue...» 
E detto questo uscì dalla stanza con un sorrisino stampato sul viso.
Rimasta sola, la ragazza si limitò a scuotere il capo e a continuare a leggere le scartoffie accumulate sulla sua scrivania.
La pace e la quiete durò solo pochi minuti.
«Salve.» 
Di nuovo sollevò lo sguardo e si ritrovò a fissarli in due penetranti iridi scuri.
«Mi permetta di presentarmi sono Jack Montague, il nuovo addetto alla sicurezza.» 
Allungò una mano e la donna meccanicamente la strinse.

***

Laboratorio centro START
22 aprile 2013  Ore 6:35

«Si può sapere dove è andato Blackjack?» 
Rushmore guardò Scanner/Cheveux d'Ange visibilmente preoccupato.
«Ha detto che usciva fuori a controllare una cosa e che sarebbe tornato subito.» 
«Non che mi dispiaccia che quel damerino della CIA se ne sia andato... ma manca da troppi minuti e la cosa non è un buon segno.» 
I due rimasero perplessi per qualche secondo a fissarsi e quasi furono colti di sorpresa quando una terza voce si insuò fra loro.
«Vi sono mancato?» 
L'uomo vestito di nero entrò nella trasportando sotto braccio e senza il corpo di un'altra senza alcuno sforzo.
«Signori ci tengo a sottolineare che non sono della CIA, ma un agente a contractor freelance.» 
Gettò la carcassa sul pavimento, continuando.
«La cosa normalmente mi farebbe incazzare, ma vi perdono perché eravate in apprensione per me.» 
Rushmore si chinò a osservare il cadavere sul pavimento.
«Perchè diavolo hai portato un cadavere di uno dei Triari qui?» 
«Toglili il cappuccio e capirai, uomo più intelligente del mondo.» 
Il super non fece obbiezioni e tolse l'indumento dalla testa del Triario.
«Ma è American Dream... o almeno ha le sue fattezze...» 
La voce di Rushmore tradì per qualche istante lo sgomento e anche Scanner/Cheveaux d'Ange fece un passo indietro.
Blackjack fece un sorrisino a mezza bocca.
«Quasi. È un clone, anzi lo sono tutti dei cloni, del nostro caro AD.» 
«Ma i Triari sono dotati di super-capacità, anche se non alla massima potenza, e le mutazioni da teleforce non sono replicabili geneticamente.» 
«Infatti hai ragione. Nei cloni sono stati immesse delle nano-macchine che ne potenziano la capacità a dismisura.» 
Rushmore sgranò gli occhi, ma ebbe la prontezza di spirito di afferrare un analizzatore da uno tavolini accanto a sé.
La scansione del corpo si protrasse per alcuni nel più assoluto silenzio.
«Hai ragione. Anche se il corpo è privo di vita le tracce dei naniti è chiara. Si può sapere come fai saperlo?» 
«Se è per questo ora so anche di peggio, ma è meglio che ti spieghi la reale natura dei miei poteri.» 

***

Chicago, 
Gennaio del 1973

«Le ho già detto di no.» 
Un sorriso gelido su un bel volto d'angelo.
«Ma è un no "mai e poi mai", o è un no "forse un domani".» 
La giovane donna non potè fare a meno di nascondere un sorriso.
«Non sono per le cose troppo perentorie, signor Montague.» 
La guardia sorrise di rimando, osservando la segretaria dell'ufficio amministrazione.
Ellie era appena uscita e lui, come al solito, era comparso dal nulla al suo cospetto.
Un'abitudine consolidata in quegli ultimi giorni.
«Facciamo così.» 
Montague si infilò una mano nella tasca dei pantaloni e estrasse un mazzo di carte.
«Giochiamocela.» 
La donna si accigliò visibilmente.
«Non si preoccupi niente di troppo complicato... A carta più alta. Se vinco io, lei uscirà a cena con me.» 
«Se vinco invece io, lei non mi importunerà più.» 
«Sta bene.» 
La guardia giurata estrasse per primo la carta e la mostrò: un Jack di picche.
«Tocca a lei.» 
La segretaria fece altrettanto: una donna di cuori.
«Pare che non sia destino.» 
«Già. Così sembra, signor Montague.» 
La guardia giurata fece spallucce e se ne andò.

***

Laboratorio Centro START    
22 aprile 2013  
Ore 6:40

«Cosa? Assorbi il pontenziale genetico degli esseri umani normali? Ma è mostruoso.» 
«Detto così, mi fai quasi un serial killer.» 
Blackjack cominciò a ridacchiare.
«Non è divertente.» 
Rimbrottò Rushmore guardando l'altro super.
«Sono d'accordo. Ma anche quello che Salazar è convinto di fare, non sarà piacevole... Produrre una seconda onda Teleforce che investirà tutto il pianeta, peccato che non funzionerà.» 
«Cosa intendi dire?» 
Blackjack rimase un secondo in silenzio.
«L'ho letto nelle informazioni genetiche di questo Triario. I naniti sono opera delle industrie Salazar, un nuovo tentativo di ottenere super senza Teleforce.» 
«E con questo?» 
«Non capisci Salazar ha fatto esperimenti con i naniti con i suoi due figli maschi. E questi ultimi hanno deciso di sabotare il progetto del padre. L'onda di Teleforce che si produrrà sarà corrotta e ucciderà tutti i super del pianeta.» 
Rushmore impallidì.
«E tu cosa vorresti fare?» 
«Con i tuoi sensori voglio che tu identifichi quanti più Triari qua attorno e mi faccia una mappa che io possa seguire.» 
«Tu sei pazzo, non farò una mostruosità del genere, non ti permetterò di acquisire tutto quel potere.» 
«Fallo!» Scanner/Cheveaux d'Ange quasi urlò quella parola, facendo ricordare agli altri due Super la sua presenza nella stanza.

***

Blackjack era appena uscito dal laboratorio e Rushmore si voltò verso l'altro Super rimasto.
«Ho fatto quanto mi hai chiesto senza obbiettare, ma, adesso che siamo soli, mi devi una spiegazione.» 
«Diciamo che ho trovato in lui una motivazione nobile, quando gli ho letto la mente... vuole salvare Libby.» 
«Perché?» 
Sul volto di Scanner/Cheveaux D'Ange comparve un sorriso.
«Diciamo che vuole una seconda chance.» 
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martedì 4 settembre 2012

Capitolo 21 (di Qwertyminus)




Admiral City
Distretto di Monacillo Urbano
22 Aprile 2013
Ora 6.25 AM

L'insegna del market lampeggiava a intermittenza. 
“Stanne fuori”, continuava a dirsi. Tutto inutile. In cuor suo sperava almeno che gli Yankee credessero alle sue minacce. “Siamo là fuori e osserviamo” aveva detto al presidente. Ma adesso che era da solo poteva mostrare le carte. “Chi c'è, là fuori, Yell? Sei quasi da solo, oramai... è stato tutto un bluff e se non ci cascheranno...”, Scosse la testa e proseguì.
A lui, dopotutto, cos'è che cambiava? Rebel Yell si scrollò di dosso la polvere e i pensieri, attraversò la strada e imboccò un vicolo gettando il mozzicone di una sigaretta. Il vicolo era stretto al limite della claustrofobia e pregno di un tanfo fetido che sapeva di morte. 
Il super si chinò su uno dei cadaveri e rovistò fra i suoi abiti. «Caporale Nelson Valdivia», lesse a voce alta. «Puerto Rico National Guard», e gettò via il tesserino identificativo. Yell osservò da sopra una spalla un colpo di vento che se lo portava via come fosse fatto di carta velina. Quando lo vide lontano, la sua attenzione tornò al povero Valdivia. “Spero tu non abbia sofferto”, pensò serrandogli le palpebre con due dita. “Una città piena di eroi e nessuno che pensa a soccorrere i  caduti...”. 
«Credevo che quelle voci fossero sbagliate, amico. Devo ricredermi?», Quello che Ride era in piedi dietro di lui, il corpo tozzo e deforme, gli abiti che aveva indosso erano maldestramente tinti di giallo e di rosso, levitava a pochi centimetri dal suolo.
«A quali voci ti riferisci?».
«Dicono che Yell il ribelle si stia rammollendo. Buon per te che ti abbia visto prendere a calci quegli yankee... potevo anche crederci, lo sai?», e sbottò in una risata sguaiata.
“Ride”, pensò Yell. “Ride sempre...”
Teddy Mercury, nome in codice Jolly, Buffone per i pochi nemici e Quello che Ride per tutti gli altri, rideva sempre e comunque. Da quando era morto per la prima volta, durante l'incidente, non faceva nient'altro. “La teleforce dà, la teleforce toglie... a lui ha tolto il senno”. «Dimmi co'shai scoperto piuttosto che dire cazzate.»
«Da dove comincio?», chiese Jolly. E sghignazzò come se da qualche parte, nella sua testa, stesse guardando un film comico. Yell avvertì il desiderio di regalargli un pezzo di piombo in mezzo agli occhi. “Settantasette più uno quanto fa?”, gli avrebbe chiesto. Sperando che dopo l'ennesimo  risveglio non avesse più tutta quella voglia di ridere. 
«Comincia dalle cose importanti...». 
Jolly ci pensò un attimo, un grosso sorriso da ebete stampato in faccia. Mostrava senza remore due fila di denti marci e storti. I riccioli rossi e neri che partivano scomposti in tutte e quattro le direzioni avvolgevano la sua testa come fiamme dell'inferno. «Indovina un po'... Scanner si è fatto vivo, o almeno così sembra. Geniaccio gli ha aperto in qualche modo la testa... non in senso reale, intendo... Ma la cosa più divertente è che non serviva affatto. Scanner ne era già uscito e adesso parla con la erremoscia. Poveraccio, sì... ammesso che sia davvero lui. Non è vero, caro amico diffidente?», Rebel Yell non rispose al suo sorriso. «Vuoi sapere cos'è che hanno sentito queste orecchie?».
Rebel Yell si rimise in piedi. «Parla!», ordinò. 
Jolly sorrise. Ancora. «Nomi», fece una pausa portandosi l'indice tozzo e biancastro sotto il mento. «Nella mente di mezzanotte c'erano solo nomi, Dave, Maxwell, Scarlett... Rushmore ha anche raccontato un fatterello. Tempo addietro Matt gli parlò di un certo Dave, un suo amico. 'Un uomo che sapeva', disse Matt. 'Un uomo che ha sempre saputo'.»
Yell mostrò il suo disappunto sputando. Iniziò a camminare fra i cadaveri, tutti uomini della P.R.N.G., tutti caduti per un gioco più grande di loro. «Matt è vittima e carnefice... lui crede davvero che Mezzanotte sia questo Dave, l'amico di sempre. Lady Liberty finirà col pensare che Mezzanotte sia la prima puttanella che si troverà davanti e che indosserà abiti più belli dei suoi. Quel chiacchierone di Salazar crederà nell'avvento di un nuovo figlio di dio e...», sentì la bocca impastata, anche deglutire gli venne difficile. «Che gli ficchino in testa quello che vogliono, su di lui sapevo già di non poter contare. A questo punto mi chiedo chi sarà il primo ad aprire gli occhi e capire come stanno realmente le cose...».
«Tu?», Jolly sorrise. «Tu l'hai già fatto, è vero... e io sono morto! Vuoi che vada alla torre? Che prenda qualcuno e...»
«No!», tuonò Yell. Il sorriso sul volto di Jolly si tramutò in un'espressione di muto sgomento. Ma fu un istante, solo e soltanto un istante. Poi riprese a ridere. «Siamo tutti figli della stessa sciagura, di un dono così maledettamente iniquo da... troppo potere corrompe, Jolly, porta alla follia chi lo possiede e tutti coloro che vi stanno intorno. Come se esso fosse una stella e, tutti gli altri, stupidi pianeti privi di vita...»
«Oh oh oh...».
«Il potere è vivo», riprese Yell. Cominciò a camminare verso l'uscita del vicolo. Jolly restò alle sue spalle. «Il potere corrompe...».
«Ogni potere».
«Ogni potere, certo... specialmente se è vivo e ha deciso che questo mondo deve essere suo. È stato Matt a volere che noi sei ci riunissimo... e le sue intenzioni erano buone, ne sono certo».
«L'hai già detto. Matt è vittima quanto noi, Rebel. Ma di cosa?».
«Di se stesso», rispose Yell. «Del suo potere e di quello che l'incidente gli ha fatto», il vecchio super prese fiato. «Posso sbagliarmi, Jolly.  Ma c'è una parte di me che ne è fermamente convinta... troppe cose tornano... la nostra cabala, l'attenzione per quel ragazzo e per i suoi poteri... e Salazar. Perché coinvolgere Salazar nel nostro progetto?».
«Salazar ha la torre».
«La tecnologia e le conoscenze. Salazar è entrato nel gruppo perché Matt credeva che servisse uno come lui... io ero contrario, quell'uomo è vuoto, vive in virtù della sua fede. Ma adesso... Cos'è che può volere Salazar da tutto questo? Anche lui è stato ingannato come noi, me lo sento... e Matt è l'unico ad avere il potere di controllarci tutti».
«Il ragazzo di cui hai parlato è Prezzemolino?», chiese Jolly. «O forse era Mister basilico...?».
«Non è questo l'importante», Yell era spazientito. Lo guardò si maledisse. “Come ho fatto a sopportarlo per tutti questi anni?”, pensò. “Non è Eddie Tormack a preoccuparmi, è il suo potere”. «Eddie può generare la vita. Qualunque sia il loro obiettivo...». Fu allora che li vide sgusciare nella penombra. I suoi occhi lampeggiarono.
«Sei sempre stato al fianco di Matt. Avete formato la cabala insieme. Tu eri la mente, lui il braccio e...», Jolly sbottò in una risata che si protrasse per qualche minuto. «Io ero il buffone, ovviamente. Ma io sono già morto settantasette volte... Tu? Il potere corrompe, dici da grand'uomo quale sei. Ma se tutti gli altri credono nella realtà distorta creata da Matt, perché non tu?». Prima che potesse tornare a ridere, Yell si era già scagliato contro di lui. Lo accolse con un sorriso gelido, diverso, e aspettò che lo attraversasse prima di voltarsi a guardare.

Yell combatté con i tre Triari come avrebbe fatto ai vecchi tempi, quando il mondo era più facile e c'erano soltanto buoni e cattivi. Nessuna menzogna, nessun inganno. Ne mise uno a terra e si volse a guardare l'altro. Dovette parare i suoi colpi, schivarli. Jolly osservava in silenzio.
«Io non sono come tutti gli altri, Jolly», esclamò. Afferrò il nemico per la gola e strinse, poi lo spinse contro una parete. Estrasse la pistola e... 
Ne restò soltanto uno. Poteva finirlo con un solo colpo ma non era questo che voleva. Voleva l'ultima, inconfutabile, prova. Gli si avvicinò, il Triario sembrava quasi volesse aspettarlo. «Mostrami il tuo vero volto», gli disse. «Il volto del tuo creatore». 
Il Triario obbedì.
La maschera iniziò a sudare, rivoli scuri corsero via e rivelarono un volto che Rebel Yell conosceva bene. Il volto del sogno americano. «Quand'ero piccolo mia madre diceva sempre la stessa cosa. Noi non avevamo nulla e fuori dalla nostra porta il mondo mangiava e godeva di tesori che erano anche nostri. Lei mi guardava, guardava mia sorella e poi ci mostrava quel mondo che tanto ci affascinava, quel mondo che invidiavamo con tutto il nostro animo e diceva: 'Basta un attimo, figli miei, un attimo solo e anche il sogno più grande può diventare l'incubo peggiore'. Mi spiace per te, Matt». Premere il grilletto fu quasi una liberazione.

«Ora me lo spieghi, amico? Che ci faceva Matt in quel brutto corpo?».
«È un potere come un altro... uno dei tanti. Ho già visto qualcosa di simile aldilà dell'oceano». “Chissà se Wael intende muoversi... il potere attira potere e non c'è uomo che abbia una bramosia pari a quella del Grande Thot...”.
«Oh... e Matt ha questo potere?».
«Se quello che penso è giusto, Jolly, Matt non possiede alcun potere. È il potere a possedere lui...». Uscì dal vicolo lasciandosi Quello che Ride alle spalle. Ma per Jolly lo spazio non aveva alcun valore. Una volta fuori, il super era già lì e lo guardava col suo ghigno beffardo.
«Cosa vuoi che faccia, mio immenso amico?», gli chiese-
«Musashi, non mi resta che lui... Trovalo e digli che il governo e le sue spie possono anche andare a farsi fottere. Quello che mi serve è altro...».
Jolly intanto alzò lo sguardo e accolse con meraviglia il fiocco dolce che gli scivolò sul naso. «Cos'è che ti serve? Un altro passaggio? Posso pensarci io... di nuovo!».
«No. Quando sei in guerra hai bisogno di una sola cosa: un esercito, Jolly. E non serve né a me né a te... è questo dannato mondo ad averne bisogno. Prenderemo la torre e se non avremo alternative uccideremo American Dream». Poi alzò lo sguardo e la neve si poggiò, soffice, sul suo volto. I ricordi iniziarono a riaffiorare come un treno in corsa. Chiuse gli occhi e li scacciò via. Non erano affatto candidi come la neve... erano rossi, rossi come il sangue.
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