martedì 30 ottobre 2012

Capitolo 29 (di Fräulein R.)



Admiral City.
Salazar Tower.
Ore 11.48 P.M.

La vera umiliazione, per Stray, non era che senza Dehydra sarebbe stata ancora raggomitolata a lottare per non annegare nel liquido che le stava riempiendo i polmoni. La vera umiliazione era essersi fatta fregare dal texano e aver pure pensato che, non uccidendola, lui la stesse risparmiando. Cazzate.
Lei, Libby e Dehydra erano risalite dal livello S-13 fino al quinto piano, lentamente, accompagnate dai rumori provocati da chissà cosa ai piani superiori. La torre aveva pure vibrato come un fottuto diapason. Per fortuna era durato pochi istanti, altrimenti Stray avrebbe perso la presa e sarebbe caduta a terra.
Libby, in testa al gruppetto, stava mettendo piede sul pianerottolo del quinto piano quando il brusio di voci le fece fermare. Qualcuno parlottava, da qualche parte oltre la porta antincendio deformata.
Libby e Dehydra la guardarono, le fecero spazio.
Stray afferrò la porta con le mani, trovò un punto d’ancoraggio per sé e tirò. I cardini si sbriciolarono come fossero wafer. Mai fatto così poca fatica. Posò il battente contro il muro e levitò dietro a Dehydra e Libby. Avanzarono caute lungo il corridoio cosparso di detriti, scavalcarono un pezzo di controsoffitto e raggiunsero un’intersezione a T. Le voci venivano da sinistra, più chiare: una donna e un uomo che rideva spesso, dandole i brividi.
Stray sfiorò i muri del corridoio con la telecinesi, scelse un punto stabile, vi si ancorò e si spinse avanti. Respirare era un’agonia, ma usare la telecinesi… Cazzo, mai stato così facile! In un giorno normale lo sforzo avrebbe cominciato a farsi sentire con quel fastidioso formicolio alla nuca. Sembrava evidente che questo giorno non avesse nulla di normale.
Il corridoio terminava sulla porta spalancata di un open space in ristrutturazione. C’erano teli protettivi, calcinacci e una cosa informe coperta di fiori viola stesa sul pavimento. E il tronco di un albero. La chioma sconfinava al piano superiore. Qualche metro più in là un groviglio di radici spesse come rottweiler scendeva dal soffitto.
«Cosa ci fa un albero qui?» sibilò Libby.
«A Prezzemolino devono essere girate le palle di brutto, se quella è una pianta di basilico!»
«Dehydra?» chiamò la voce femminile, dalla stanza.
«Bonnie?»
Raggiunsero l’albero. Questa “Bonnie” era seduta tra le radici, insanguinata.
«Ehi, che è successo?» domandò Dehydra.
«Sono impazziti tutti! Salazar, Eddie, American Dream…» singhiozzò.
Stray tastò attorno, cercò dove si fosse nascosto il tizio con la ridarola.
Rabbrividì.
Niente tizio con la ridarola. In compenso, American Dream, impettito, stava scendendo lungo il buco creato nel soffitto dall’albero.
Sì, vieni qui!
Stray concentrò il proprio potere in alto. Afferrò American Dream per le caviglie e tirò. Lo sentì scivolare giù di un paio di metri, poi scalciare per liberarsi.
Oh, no, figlio d'un cane, questa volta non mi scappi, fosse l'ultima cosa che faccio!
Le parve di sentire le mani di qualcuno che la sorreggevano quando smise di levitare, ma non le importava. L’unica cosa importante era convogliare tutto il potere sull’afferrare e tenere fermo quel grandissimo stronzo.
Mani lo spinsero in giù a partire dalle spalle, altre gli strinsero braccia e gambe in una morsa. Quando lo sentì cercare di girare il capo, gli bloccò la testa e compresse il torace.
Dove pensi di andare? Vuoi sgusciare via? Scordatelo!
«Non fartelo scappare, Stray!»
«No, ferma! Dehydra! no!»
«Non è American Dream! Non è lui!»
Iniziò a premere sulla gola dell’uomo.
«Matt! No, ferme!»
Uno schiaffo le bruciò la guancia, un secondo.
Non si fermò. Ora la sentiva: la torre stava ancora vibrando come un fottuto diapason, solo in modo diverso. Vibrava a tempo con lei, la rafforzava, le dava più mani con cui imprigionare il texano, più forza in ciascuna mano per non farselo scappare, per fargli male come lui ne aveva fatto a lei.
AD si contorse, sembrò allungarsi, sfaldarsi, dimenarsi in preda a spasmi. Le ossa si protesero per fuoriuscire dalla carne, e la carne sembrava indecisa tra squarciarsi e ribollire via.
Stray si sentì ridere, qualcuno urlò.
Un nuovo trucco, eh? Non importa, ti terrò qui, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia.
Gli zigomi esplosero fuori dalle guance di American Dream, spuntoni perforarono il torso, si ripiegarono all’indietro, li sentì esplodere dalla schiena. Sempre più inumano e contorto, sempre più debole nel tentare di resisterle.
Gli strinse il collo con decisione. Qualcosa si ruppe, la massa che tratteneva con la telecinesi all’improvviso evaporò, lasciandola a mani vuote.
Stray era scossa dai conati di vomito e piangeva, accasciata a terra.
«Mi è scappato.» riuscì a gorgogliare.
La torre vibrò piano, come in risposta alle sue parole.
«Ehi, tranquilla, tesoro! Il tizio è morto», la rassicurò Dehydra. Le diede pure una pacca sulle spalle.
«Cosa avete fatto a Matt?»
Stray guardò Libby. La velocista era imbambolata, sconvolta. Sembrava che l’accaduto le avesse tolto tutto l’argento vivo di dosso.
«Non era il tuo Matt. Era Nightshifter.» sputò Bonnie, col naso arricciato.
«Qualunque cosa fosse, ora è a secco come uva sultanina nel Sahara. Cazzo, facciamo una bella squadra!»

* * *

Admiral City.
Attico del Crowne Plaza.
Ore 11.57 P.M.

Tito afferrò il fratello prima che cadesse, lo scosse. Gli occhi di Theo erano fissi sul soffitto, sgranati e acquosi. Annaspava per respirare.
Tito gli slacciò la cravatta e la camicia, lo chiamò per nome.
Gli tastò la gola: battito frenetico, pelle secca. Fumo nero sgusciò dalle labbra screpolate, aleggilò per un istante, venne risucchiato quando Theo inspirò con un singulto.
Tito arretrò di un passo, capì di non poter far nulla quando iniziarono le convulsioni.
Guardò le ossa di Theodor allungarsi, squarciare carne e abiti e trasformarlo in una caricatura umana irta di spuntoni. Il volto era irriconoscibile. Non una sola goccia di sangue era uscita dalle ferite, la carne era secca come cuoio.
Tito sorrise mentre iniziava a svuotargli le tasche.
«Mi spiace, hermano, ma consolati: farò buon uso del tuo cadavere.»

* * *

Admiral City.
Salazar Tower.
Ore 11.58 P.M.
La torre vibrava di nuovo. Polvere e calcinacci scendevano dal soffitto.
Stray guardò in alto. Scricchiolii continui, le crepe attorno alle radici si allargavano a vista d’occhio, serpeggiavano fino ai muri.
«Oddio, quanto è grande quell’albero?» sussurrò con un brivido.

* * *

Admiral City.
Periferia.
Ore 11.56 P.M.
Ammit ha fame. La gente che si è riversata per le strade fugge quando la vede, ma non è cibo, non vale la pena inseguirli.
Annusa l’aria. Vento umido che odora di mare e di cibo, dalla sua destra. Un bambino malaticcio dagli occhi scuri la guarda da sotto il porticato di una villetta, immobile. Lui la sfamerà, almeno un pochetto. Carne giovane. Carne tenera. Saliva le cola dall’angolo della bocca.
A quattro zampe, corre verso il bambino. Non riesce a pensare ad altro che a quelle gambette magre, a quanto cibo devono contenere. Poco, ma tutto per lei, da strappare, gustare, leccare via, rosicchiare. Un frammento alla volta. E lei ha così tanta fame!
Un colpo, come un pugno, nell’incavo del ginocchio. Un secondo sulla spalla, un terzo sulle reni.
Ammit scarta verso un’auto parcheggiata, ci si lancia contro e la usa per rimbalzare indietro e fronteggiare chi l’ha attaccata.
Uomo con cappello e impermeabile. È sicura che le stia mostrando i denti.
Gli ringhia contro e l’uomo spara, immobile in mezzo alla strada, ma lei scarta di lato e viene solo sfiorata dai frammenti di vetro dell’auto.
È indecisa. Cibo o pericolo? Si piega su ginocchia e gomiti. Un altro pugno caldo, al braccio sinistro.
Prima il pericolo, poi il cibo.
Il vento gira. Ammit sorride. Pericolo e cibo assieme. Perfetto.
Scatta di nuovo. L’asfalto sotto la pelle è caldo, si scuote, la fa inciampare. Il rombo arriva un istante dopo, insieme all’urlo assordante dell’uomo. Si ferma, stordita e con la bocca secca. Ha paura, paura folle di qualcosa che non sa definire. E l’uomo… l’uomo ha qualcosa di sbagliato, anche se Ammit non ricorda cosa.
L’uomo guarda lontano. Ne segue lo sguardo, senza sapere perché.
Un frammento del suo cervello ricorda il profilo, il nome della cosa visibile in lontananza: Salazar Tower.
Tutte le finestre illuminate, la torre barcolla come ubriaca, si spezza in due in verticale. Emette un lampo, come una serie di anelli concentrici, poi tutte le luci si spengono mentre una metà si accascia di lato.
La fame chiama.
Ammit corre verso l’uomo, che sta ancora guardando affascinato il crollo. È a due balzi di distanza quando il cibo solleva il braccio e le spara al polso, senza nemmeno girarsi.
Ammit sgambetta via, ringhiante. Si porta la mano alla bocca. Il sangue sa di buono, ma non come quello del cibo.
Si getta di nuovo all’attacco.
È il vento a fermarla. È secco, lo cavalca il boato del crollo e una nube di polvere finissima che le si deposita addosso e le imbianca la pelle.
Ammit respira a pieni polmoni, si lecca le labbra.
Cibo. Cibo in polvere.
Si lecca le mani e le braccia. Si getta a terra e inizia a lappare la polvere dall’asfalto.
Cibo, ed è tutto suo.
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martedì 23 ottobre 2012

Capitolo 28 (di Nicola Parisi)

Admiral City.
Salazar Tower.
Ore 08. 30 A.M.

A Eddie pareva che il tempo impiegato per scendere dalla sequoia fosse stato eterno, adesso che finalmente avevano raggiunto il pavimento Bonnie si era appoggiata a lui.
Nonostante avesse smesso di sanguinare la ragazza le sembrava fin troppo pallida.
«Sei sicura di stare bene?»
«Sì certo, non preoccuparti. Dobbiamo raggiungere mio padre.»
Fugacemente Eddie scrutò la Super, le vesti lacerate dallo scontro con American Dream gli dimostrarono che Bonnie stesse mentendo, il volto, specialmente vicino all'orecchio strappato era una unica, intera, maschera di sangue.
Nonostante tutto lei gli sembrava ancora bellissima.
«Non puoi muoverti in queste condizioni. Il colpo che American Dream ti ha dato è stato troppo forte perfino per te, dobbiamo trovare il modo di medicarti.»
«Lo hai visto anche tu quello non era American Dream. Non più perlomeno».
«Non m'interessa, poteva essere perfino lo spirito dei natali passati strafatto di acidi, ma tu non vai da nessuna parte se prima non ti medichiamo. Adesso prendiamo il primo ascensore che troviamo e ce la svignamo da qui.»
Incurante delle proteste di lei, Eddie la trascinò lungo i corridoi. Solo dopo notò il particolare che non stesse compiendo sforzi nel portare una Super infinitamente più forte di lui.
Era il fatto che stesse calpestando in continuazione i frammenti di vetro delle finestre distrutte praticamente a piedi nudi senza tagliarsi minimamente che lo preoccupò. E molto anche.
«Bonnie, forse non è ancora finita, forse il mio potere sta ancora cambiando».
La ragazza gli sembrava se possibile ancora più pallida ed emaciata di prima, anche solo aprire la bocca pareva gli procurasse sforzi indicibili.
Solo che se anche Bonnie rispose qualcosa il ragazzo non fece in tempo a sentire.
Perché quello fu il momento in cui giunse il lampo.
Istintivamente il giovane Super chiuse gli occhi, ancora più istintivamente strinse a sé la ragazza come per proteggerla dalla luce improvvisa.
Quando i due Super si decisero a riaprire gli occhi trovarono il buio della notte ad attenderli.
«Guarda guarda chi abbiamo qui».
Starcrusher fece un passo in avanti.
Lanciando la prima scarica.

* * *

Tetto della Salazar Tower.
Ore 11.45 P.M

Nightshifter osservava estasiato il panorama davanti a lui, totalmente dimentico della presenza di Salazar. Da Admiral City giungevano in continuazione voci, urla di spavento, rumori causati da incidenti di macchina, sirene di allarmi improvvisi. La maggior parte della città era ancora al buio, i suoi abitanti sorpresi dal cambio temporale si riversavano per le strade come formiche a cui qualcuno avesse appena distrutto il formicaio.
E quelle formiche non avevano ancora capito che quello era solo l'inizio, pensava divertito.
«Non siamo ancora al completo, manca mia figlia. Portami Bonnie».
«Certo che te la porterò», rise Nightshifter giocando ancora con la voce e col corpo di Scarlett Johansson. «Abbiamo una questione in sospeso con la ragazzina.»
C'era però un altra questione da chiudere. E anche in fretta.
L'uomo Atomico si stava avvicinando.
«Noi due dobbiamo parlare.»
No, decisamente quelle formiche laggiù non sapevano ancora quello che li aspettava.
La creatura dai molti corpi assaporò il momento. Presto, molto presto la caccia si sarebbe conclusa.
Un urlo bestiale partì dal profondo del suo essere.
Ogni singolo frammento di sé stesso gli rispose.

* * *

Periferia di Admiral City.
Ore 11.46 P.M

Ammit urlò in preda al dolore. Il cambio temporale aveva finito di sconvolgere il suo già precario equilibrio. Alle orecchie dell'essere risuonavano ovunque urla angosciate di gente spaventata.
Non che questo importasse. Ad Ammit non interessava nulla del cielo, nulla nemmeno della terra che calpestava.
Che fosse libera o prigioniera gli occhi di Ammit vedevano sempre solo in due sfumature: il rosso della rabbia e il buio della sua fame.
Arrivavano odori da lontano, odori di vite rinchiuse in quella torre di debole cemento si staglia sullo sfondo , vite che Ammit era disposta a prendere tutte pur di saziare la sua brama.
Mentre la osservava Rebel Yell non poteva fare a meno di sorprendersi. La cosa dalle forme cangianti sotto di lui non ha più niente dell'essere umano.
«Una volta eri così bella Isabelle, la donna più bella che avessi mai visto.»
Cancellando i ricordi e anche il dolore Rebel estrasse entrambe le pistole e si preparò per andare incontro alla creatura.

* * *

Il mondo attorno a Eddie sembrò esplodere, il colpo aveva scaraventato Bonnie lontano da lui; la ragazza boccheggiava, pareva perfino che avesse perso completamente i suoi poteri. Starcrusher non pago di averla colpita con la scarica uno dopo l'altro le assestava calci sullo stomaco sempre più forti.
«Mi ricordo di te! Tu eri una di quelle puttanelle che stava sempre al seguito di American Dream. Bene, che che effetto fa essere adesso dalla parte dei perdenti?»
Ignorando le fitte di dolore che gli esplodevano da ogni parte del corpo, Eddie trovò la forza di rialzarsi.
«Lasciala stare verme!»
«Ma guarda lo schiavetto si è risvegliato, cosa pensi di farmi? Insegnarmi a far crescere le petunie? C'è qualcosa di più grande che è dalla mia parte.»
Bagliori violacei fuoriuscirono minacciosi dal corpo del criminale.
La prima scarica sfiorò appena la tempia sinistra di Eddie, mentre la seconda parve conficcare Eddie nel muro.
Puntellandosi sulle gambe, il ragazzo riuscì appena a mantenersi in piedi, il dolore della spalla gli risultava insopportabile, le tempie gli martellavano cantiche di derisione.
Costretto ad appoggiarsi al muro per sorreggersi, un detrito appuntito stretto nella mano, Eddie subì un ulteriore colpo dal gigantesco evaso.
«Cosa conti di fare adesso? Prova a venirmi a prendere, sfigato. Siamo solo tu ed io.»
Starcrusher rise ancora una volta, un globo di luce violaceo gli si stava formando rapidamente nella mano, mentre si avvicinava verso il Super.
«Vedi sfigato, ci sono cose che non concepiresti nemmeno che stanno giocando a fare gli dei in giro là fuori, cose che mi hanno lasciato ammazzare American Dream. Cose che vi schiacceranno tutti quanti sempre e comunque. Adesso te lo richiedo, come pensi di fermarmi?»
Eddie spalle al muro si stava preparando a lanciare il detrito, silenziosamente salutò Bonnie che cercava ancora di rialzarsi; rimpianse anche di non averla potuta salutare per bene.
Rimpianse anche di non averla mai nemmeno baciata.
E poi inspiegabilmente rise in faccia al suo avversario
«Ma certo che ti fermerò io», facendo una linguaccia.
E spaccò il detrito sulla fronte di Starcrusher.
«Ma che cazzo credi di fare? Credi che basti questo per farmi male?»
«Credo di averti appena ammazzato. Non con la pietra,no. Quella è stata solo una divertente aggiunta, vedi ho appena scoperto che mi basta toccare le cose per trasformarle, e si dà il caso che ti abbia appena toccato.»
Eddie alzò la mano mimando un saluto ironico, Starcrusher vacillò, per un attimo sembrò gonfiarsi, gli occhi esplosero mentre radici di quercia fuoriuscivano dalle orbite vuote, le dita si deformarono tramutandosi in fiori violacei, dalla gigantesca bocca i denti vennero sfrattati da talee grigiastre.
Con un ultimo gorgoglio l'informe ammasso che una volta era Starcrusher si accasciò definitivamente a terra. Eddie rimase in piedi, in silenzio, tutto l'accaduto gli sembrava un unico immenso incubo nemmeno sognato da lui ma da un estraneo.
Fu Bonnie ad infrangere la pesante cappa di silenzio.
«Eddie, ma come hai fatto?»
La figlia di Salazar lentamente era riuscita a rialzarsi e cercò di stringere a sé il giovane Super dai cui occhi riteneva di aver carpito una profonda tristezza, ma l'altro l'allontanò da lui.
«No Bonnie non mi toccare. Stammi lontana!»
«Ma, Eddie, perché?»
«Ho capito cosa mi sta succedendo, ho capito anche perché non riuscivi a riprendere le forze dopo lo scontro con American Dream e perché le ossa non ti si calcificavano più: sono io! E' colpa mia! Sto cambiando e anche il mio potere lo sta facendo. Non so se è una cosa che ho sempre avuto latente o se è stato causato da tuo padre quando ha pasticciato col mio cervello. Ma adesso ho capito che riesco a trasformare gli oggetti e le persone in altri organismi solo perché prosciugo la forza vitale di chi mi sta vicino. Non ti avvicinare Bonnie perché ero io che ti stavo ammazzando!»

* * *

Salazar Tower.
Ore. 11.55 P.M

Teddy Mercury era convinto ormai di averle ormai viste tutte nel corso della folle giornata trascorsa ad Admiral City. Quando si materializzò nell'ultimo corridoio scoprì di essersi sbagliato: tra le macerie e le scene di distruzione, il Super chiamato Jolly quasi inciampò in una Bonnie rannicchiata in posizione fetale. Nel momento in cui le poggiò una mano sulla spalla si rese conto che la ragazza stava piangendo
«E' opera tua ?» le chiese mentre indicava il maleodorante ammasso di rami, ossa e da cui facevano capolino frammenti insanguinati della tuta di Starcrusher.
«No. E' stato Eddie.»
«E lui dov'è adesso?»
«E' andato a cercare Salazar e Mezzanotte, ha detto che vuole ammazzare mio padre. Si è convinto che per colpa loro lui sta diventando un mostro come Mezzanotte».
«Perfetto,» mormorò tra sé e sé il Jolly «Proprio quello di cui avevamo bisogno in questo momento: un altro Super impazzito e incontrollabile a spasso dentro questa maledetta Torre».
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lunedì 22 ottobre 2012

Promemoria



Un promemoria velocissimo prima di lasciarvi all'attesa per il capitolo 28, di Nicola Parisi, che andrà in onda domani a mezzogiorno, come sempre.
In realtà ho già detto tutto sul mio blog, Plutonia Experiment, quindi vi lascio semplicemente il link a cui far riferimento, ossia questo: Verso il gran finale.
Come vedrete, si fanno alcune riflessioni sull'imminente finale di 2MM e si parla della probabilissima season two della Round Robin, che dovrebbe vedere la luce a inizio 2013. E' presto per rivelare altro, ma confermo che varerò un format leggermente diverso, più selettivo, in favore di un ulteriore aumento di qualità.
Di tutto il resto riparleremo quando la season one si sarà conclusa. Da lì in poi conto di regalarvi qualche post di hype (diciamo in periodo natalizio), portandovi per mano fino alla riapertura dei giochi.
Per il momento è tutto. Chiudo ricordandovi che - al momento - questo è l'unico progetto collettivo ufficiale riguardante 2MM.
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(A.G. – Follow me on Twitter)

martedì 16 ottobre 2012

Capitolo 27 (di Gianluca Santini)



Admiral City
Nei pressi della Salazar Tower
07:25 A.M.

Il suo avversario attaccò nuovamente. Il primo pugno venne schivato, mentre il secondo lo colpì in pieno, sbalzandolo all’indietro. American Way impattò contro il muro di un edificio e affondò dentro la struttura. Rockster, fermo in mezzo alla strada, era ormai enorme, i suoi pugni travolgenti. Lo scontro andava avanti da più di un’ora, il supereroe più amato dagli americani non si stupì nel vedere il Super di Fortress Europe con il fiatone. American Way sorrise da sotto le macerie, ignorando la sensazione che gli si era insinuata dentro.
Quando aveva abbandonato i sotterranei della torre era stato intercettato da Nightshifter. L’essere fatto d’ombra lo aveva attirato a sé e aveva sentito il freddo avvolgerglisi attorno. Una sensazione di violazione che ancora non lo aveva abbandonato del tutto. L’abbraccio di Nightshifter lo aveva portato in un mondo d’oscurità, dal quale era riemerso solo in cima alla torre, ritrovandosi di fronte al suo amico, Dave, Mezzanotte. Appena lasciata la torre era stato bloccato da Rockster. Aveva pensato di risolvere la questione in poco tempo, invece Rockster era ancora lì, a menare pugni e a ruggire infuriato.
American Way si alzò in volo, scartò un attacco dell’europeo e si librò verso l’alto. Dopo qualche istante sentì l’urlo di Rockster e il rumore dell’asfalto che si spaccava. Guardò dietro di sé, Rockster aveva spiccato un salto nel tentativo di intercettarlo. Si arrestò all’improvviso, si volse verso l’avversario e caricò la sua potenza. Tutta, senza più freni. Sorrise di nuovo, poi scattò in avanti, annullando la distanza che lo separava dall’avversario. Lo colpì in mezzo al volto. L’impatto fu devastante, il rumore come quello di un terremoto, le finestre di alcuni edifici vicini esplosero in mille pezzi, gli antifurti delle automobili iniziarono a lamentarsi.
Osservò il corpo di Rockster precipitare verso il basso, atterrare aprendo una spaccatura sull’asfalto. Il Super americano sfrecciò verso di lui, caricando un secondo pugno. Rallentò poco prima di arrivare a livello del terreno, rimase sospeso in aria, a pochi centimetri dal muso dell’europeo. Infine lasciò andare il braccio e il pugno si riversò con tutta la sua forza sul petto di Rockster. Sentì qualcosa rompersi. La spaccatura nel terreno si allargò.
American Way appoggiò i piedi sulla strada e osservò il corpo del suo avversario. Il suo sorriso si aprì, constatando la morte di Rockster.


***

Admiral City
Salazar Tower
08:25 A.M.

Quando si trovò all’altezza del quindicesimo piano, decise di entrare nella torre. Sfondò una finestra e si ritrovò in un grande salone. Uranium si guardò intorno, notando il tronco di una quercia che dal piano inferiore arrivava fino a quello superiore. L’Uomo Atomico corrugò la fronte, poi il pavimento vicino all’albero si frantumò e apparve American Dream.
«Matt!» urlò.
Ma quello davanti a lui non era American Dream. Sbuffi di fumo nero gli uscivano dalla bocca a ogni respiro e il volto era distorto in una smorfia crudele.
«No, non sei lui…»
Le fattezze di American Dream iniziarono a dissolversi, rivelando un essere sfuggente, un’ombra oscura che non sembrava possedere una fisionomia propria. Uranium avvertì la sua risata rimbombare nell’ambiente.
«Non sono American Dream più di quanto non sia tante altre persone. Mi chiamano Nightshifter.»
«Sei un essere fatto d’ombra?»
«Sì, possiamo metterla così, Uomo Atomico. Io sono ombre, copie di fattezze e poteri.»
«Rubi fattezze e poteri?»
«Li copio, li rubo, usa la parola che preferisci. Come ogni ladro ho diversi metodi, ma il risultato è sempre lo stesso.»
Uranium si mosse, alzò il braccio verso Nightshifter.
«Cosa hai fatto a Matt?»
«Io? Dovresti chiedere cosa gli ha fatto il padrone di questa torre, semmai. Inoltre, davvero vorresti usare i tuoi poteri qui dentro? Ti facevo più prudente.»
Uranium dovette riconoscere che l’essere aveva ragione. Sprigionando i suoi poteri lì dentro avrebbe potuto causare danni irreparabili. Frustrato fece ricadere il braccio. Vide l’essere assumere di nuovo le sembianze del suo amico e collega. Il falso American Dream gli sfilò affianco e si fermò un attimo alla finestra da cui Uranium era entrato. L’essere indicava verso l’alto, un gesto inequivocabile. Lo vide volare via, diretto verso il tetto della torre. L’Uomo Atomico si lanciò al suo inseguimento.


***

Admiral City
Attico del Crowne Plaza
08:26 A.M.

Theodor decise di chiudere il dialogo che si stava svolgendo al quindicesimo piano della torre. Le sue labbra si mossero, ma il suono venne udito solo laggiù, da Uranium.
Tito gli si avvicinò, domandandogli se stesse andando tutto per il meglio.
Theodor tornò per un attimo in sé, controllando la sua essenza d’ombra in modo automatico, senza concentrarsi. Si rivolse al fratello e gli poggiò una mano sulla spalla.
«Sì, il rendez-vous in cima alla torre è quasi completo, ora che Uranium ci degnerà della sua presenza.»

***

Admiral City
Nei pressi della Salazar Tower
07:35 A.M.

American Way fece qualche passo, lasciandosi il cadavere di Rockster alle spalle. Subito dopo sentì che qualcosa era appena atterrato dietro di lui. Qualcosa di grosso. Si girò e vide Starcrusher, avvolto da scariche purpuree, fermo con i piedi piantati sul corpo dell’europeo, ormai tornato alle sue dimensioni normali.
«American Dream!» urlò.
«Way, mi chiamo American Way, stupido bestione.»
Starcrusher non replicò e lanciò una scarica viola verso il suo avversario. American Way la deviò con il braccio, un edificio lì affianco esplose.
Si avventò contro il nuovo avversario, accusandolo di non avergli fatto riprendere il fiato dopo aver steso Rockster. Starcrusher non rispose, attese di essere a distanza sufficiente e lanciò nuove scariche, tutte prontamente deviate dal Super americano.
«Tutto qui quello che sai fare, Starcrusher?»
«No.»
Starcrusher gli si avvicinò e iniziarono a combattere per lungo tempo corpo a corpo. American Way accusò e diede colpi, dovette riconoscere che il supercriminale era un avversario decisamente più ostico di quell’europeo che giaceva ai loro piedi. Starcrusher pareva instancabile, per quanto American Way sferrasse i suoi colpi, il criminale riusciva a schivarli, oppure ad accusarli senza mostrare troppi danni.
A un certo punto, stanco della durata della battaglia, American Way si fiondò dentro un edificio, seguito dall’avversario. Doveva trovare un modo per abbatterlo una volta per tutte, se non voleva sprecare altro tempo prezioso. Pensò di riutilizzare il trucchetto usato con Rockster, quindi caricò tutta la sua potenza e si fermò all’improvviso, girandosi verso Starcrusher. Tuttavia il criminale era troppo vicino e, anziché muoversi verso di lui per attaccarlo, American Way si ritrovò stretto tra le sue possenti braccia, immobilizzato dalla forza del criminale.
«Ora vedrai cosa so fare, American Dream.»
Il corpo di Starcrusher venne avvolto di nuovo da scariche purpuree. American Way iniziò ad avvertire un’intensa sensazione di calore provenire dal suo avversario. L’energia misteriosa che lui riusciva a governare si stava concentrando dentro il suo corpo, era avvolto da una luce viola intermittente.
Starcrusher sorrise, l’energia esplose. L’edificio venne distrutto completamente, i detriti si sparsero per decine di chilometri attorno all’esplosione. Crollarono altri palazzi, le automobili parcheggiate lì vicino volarono via a grande distanza. Il rimbombo si attenuò solo dopo qualche minuto.
Starcrusher si accorse che il corpo di American Dream era leggero come un fuscello. Lo lasciò andare e lui si accasciò al suolo. Il supercriminale lo guardò attentamente e poi esultò lanciando scariche viola verso il cielo. American Dream era morto.

***

Admiral City
Centro S.T.A.R.T.
08:30 A.M.

«Non sento più i suoi pensieri» affermò Scanner.
Rushmore lo guardò, incitandolo a esprimersi meglio.
«Il sogno americano è morto. Ed è morto proprio da American Dream. Negli ultimi istanti di vita gli inganni di Salazar sono sfumati, Matt si è reso conto delle menzogne su Dave, delle illusioni su Mezzanotte in cima alla torre, del male che ha fatto agli europei. Ha pensato a Libby.»
«Non sarà facile spiegarle tutto quello che è accaduto a Matt…» sussurrò Rushmore.
«La sento di nuovo, proprio ora. La nostra Lady Liberty finalmente si sta svegliando.»
Rushmore tirò un rumoroso sospiro di sollievo.

***

Admiral City
Tetto della Salazar Tower
08:30 A.M.

Nightshifter raggiunse il tetto della torre. Vide Salazar e Mezzanotte avvicinarglisi, gli sguardi determinati.
«Grazie per aver fatto le mie veci in mia assenza…» cominciò Mezzanotte.
Il falso American Dream fece un gesto rapido con le mani per minimizzare, e poi si rivolse verso il ciglio del tetto.
«Sta per arrivare» disse.
In quel momento Uranium apparve in volo e andò ad atterrare a qualche metro di distanza dai tre.
«Eccolo arrivato, finalmente! Il Super che fa al caso nostro, per aprire le danze» commentò Salazar.
«È ora di accelerare i tempi, di mandare avanti l’orologio del mondo» aggiunse Nightshifter.
Salazar e Mezzanotte annuirono insieme, mentre le fattezze di American Dream iniziarono a cambiare. Al posto dell’aspetto del Super più famoso d’America apparve il corpo snello e affascinante di una delle attrici più desiderate del globo, Scarlett Johansson. Un filo di fumo nero galleggiò davanti alle labbra carnose. I tre risero di fronte all’espressione incredula dell’Uomo Atomico.
«Nessuno immaginava cosa si celasse dentro di lei. Nemmeno lei lo sapeva» commentò Nightshifter.
Gli occhi della Johansson si illuminarono di una luce rossa e il sole accelerò il suo cammino lungo il cielo. Nightshifter osservò lo stupore nel volto di Uranium, mentre l’Uomo Atomico era bloccato a guardare il cambiamento temporale di fronte ai suoi occhi. Il sole tramontò, la notte prese di nuovo il sopravvento sul giorno.

***

Admiral City
Tetto della Salazar Tower
11:45 P.M.

Alla fine la luce rossa scomparve dagli occhi della donna. Uranium riuscì di nuovo a muoversi, mentre Nightshifter riassunse le sue sembianze e allargò le braccia.
«Il tempo è vicino, ora mancano solo quindici minuti a mezzanotte.»
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martedì 9 ottobre 2012

Capitolo 26 (di Masca Micilina)

Admiral City
Sede S.T.A.R.T.
22 Aprile 2013
Ore 08.00

«Al Grande Toth piacciono le entrate a effetto!» Esclamò con sarcasmo il colonnello Ross avvicinandosi alla cassa di titanio.
«Colonnello, pensavo fosse più giovane.» disse Wael ricambiando la causticità del militare.
«Espletate le formalità, gradirei dare un’occhiata al presente che ha avuto la gentilezza di portare.»
«Lo sa che non è un regalo e sa altrettanto bene cosa voglio in cambio.»
«Certo, prima però voglio vedere dentro la cassa. Sa com’è. Fidarsi é bene….»
Toth non rispose limitandosi a fare un cenno d’assenso. Digitò un codice sul tastierino numerico facendo scattare la serratura.
«Prego.» Disse facendosi da parte.
Ross si fece avanti e aprì leggermente lo sportello.
«Non abbia paura, non morde. È sedata.»
Il colonnello spalancò la cassa.
Era completamente vuota.

***

Admiral City
Attico del Crowne Plaza.
22 Aprile 2013
Ore 07.55

Tito tirò una boccata al sigaro: «Strano effetto i fuochi d’artificio di mattina. Vero, hermano?»
Senza aspettare la risposta portò nuovamente una mano all’orecchio: «Ottimo lavoro Keller. Rapido ed efficace.»
Ci fu una breve scarica di elettricità statica che strappò a Tito una smorfia di disapprovazione.
«Veramente Signore.» La voce di Keller era intrisa d’imbarazzo. «Non siamo stati noi.»

***

Washington D.C.
Casa Bianca
22 Aprile 2013
Ore 07.59

«Il malvagio fugge, anche se nessuno lo insegue, mentre il giusto è sicuro come un giovane leone.»
Mitt Romney ripeteva lentamente, come un mantra, il passo dei Proverbi che preferiva.
Gli dava sicurezza e forza. Dio solo sapeva quanto ne avesse bisogno.
La visita di Rebel Yell anche se non inaspettata lo aveva irritato. Odiava quell’essere con tutte le sue forze. Ogni singolo atomo della sua anima, sempre che l’anima fosse costituita da atomi, disprezzava Rebel Yell e tutto ciò che rappresentava.
Le parole della Bibbia sembravano avere l’effetto desiderato. Accennò un tiepido sorriso.
«Signore, la conference call sta per iniziare.»
Mitt non rispose. Si guardò un’ultima volta allo specchio e poi si avviò.
Un sorriso compiaciuto ora accendeva il suo volto.
«Come sta il generale Van Outen?» Chiese.
«Lo stanno operando in questo momento, signore. Non è grave e dovrebbe farcela.»
«Ce la farà. Il generale è un osso duro.»
Romney entrò in una piccola stanza ottagonale. Appena lo videro, il generale Anderson e il segretario Hickman si alzarono in piedi.
«Signor Presidente come sta?»
«Non si preoccupi Hickman, sto bene. Non perdiamo tempo e aprite il collegamento.»
Dalla parete completamente tappezzata di monitor al plasma comparvero i volti di Vladimir Putin, Angela Merkel, David Cameron, François Hollande, Yoshihiko Noda e Wen Jiabao.
«Signori, vi do il mio cortese benvenuto.»
Dai piccoli altoparlanti B&O si levarono in simultanea i convenevoli di rito sincronizzati con il labiale delle figure sugli schermi.
L’inglese secco e marziale della Merkel lo irritava. Quella pronuncia era un vero vilipendio alla sua amata lingua; sospirò e riprese a parlare.
«Chiedo scusa per il poco preavviso e per l’orario in cui si svolge questa riunione. Sarete certamente informati di quello che sta succedendo ad Admiral City e, quindi, converrete con me dell’importanza e urgenza di un incontro atto a rimanere aggiornati sulla piega che hanno preso gli eventi e su che cosa accadrà durante le prossime ore.»
Il presidente degli Stati Uniti fece una piccola pausa. Adorava quei momenti, quando il pubblico pendeva dalle sue labbra.
«Il giorno che aspettavamo da molto tempo è finalmente arrivato.»
I volti dei suoi interlocutori lasciarono trasparire un misto di sorpresa ed eccitazione.
Anderson sorrideva mentre il segretario Hickman cercava di mimetizzare il tremolio delle mani giocherellando con la sua Mont Blanc.
«L’inaspettato arrivo di Mezzanotte ha calamitato l’attenzione dei Super più potenti al mondo, che si sono precipitati in poco tempo sul posto. Siamo riusciti anche a far atterrare Wael Ghaly ad Admiral City circa nove minuti fa. Un ordigno è esploso sul suo aereo; speravamo non sopravvivesse, ma è riuscito a lanciarsi dal velivolo prima dell’esplosione. La notizia più importante è però un’altra.»
La teatralità di Romney stava assumendo toni parossistici.
«Signori, sono lieto di comunicarvi che i nostri sforzi sono stati premiati. Il pacco è stato prelevato.»
«Vuole dire che Ammit è nelle nostre mani?» Chiese il premier Cinese, visibilmente incredulo.
«Ammit non è mai salita sul volo di Ghali. Il Grande Toth non si è dimostrato poi così grande. Agenti del nostro caro Vladimir, dopo anni di duro lavoro sotto copertura, sono riusciti ad ottenere la fiducia del presidente egiziano. Sostituire la cassa contenente la moglie e imbarcarla su un nostro velivolo è stato più facile del previsto. Hanno anche avuto il tempo di lasciargli un regalino esplosivo. Essere troppo sicuri di sé può far commettere gravi errori.»
Il presidente Russo era accigliato. «Quindi sta andando tutto come previsto? Nessun problema?»
Il suo collega d’oltreoceano aveva sempre ritenuto Putin un gran rompiscatole e anche in quest’occasione non si era smentito.
«Caro Vladimir, sicuramente hai posto una domanda di cui hai già la risposta. Non si tratta di un vero e proprio problema, diciamo che esiste qualcuno che sa qual é il nostro obiettivo ma non ha la più pallida idea di come lo raggiungeremo. Comunque non desta particolare preoccupazione, al momento si sta dirigendo proprio nell’occhio del ciclone e non ne uscirà vivo.»
L’ennesima pausa.
«E’ il problema di questi Super, anche il loro ego è troppo sviluppato. Si credono immortali, pensano a noi solo come degli esseri inferiori da proteggere o da combattere. E in questo abbiamo le nostre colpe. Abbiamo iniziato a temerli, poi la paura si è trasformata in ammirazione e quest’ultima è diventata devozione. Abbiamo elevato questi abomini al livello degli dei. Questo è stato un nostro errore. Da parte loro, la consapevolezza della nostra venerazione li ha resi arroganti e troppo sicuri di sé. Ci sottovalutano e questo decreterà la loro sconfitta. Il mondo sarà libero per sempre da queste aberrazioni.»
Il volto di Putin non si rilassò. Romney si versò dell’acqua perché iniziava ad avere la gola secca.
«Dopo che il pacco sarà consegnato, per qualsiasi essere il cui DNA contenga anche solo un’infinitesimale quantità di Teleforce, non ci sarà scampo. E se per miracolo qualcuno di loro dovesse sopravvivere, anche il solo il fruscio di una foglia agitata lo metterà in fuga. Vivrà il resto dei suoi giorni nella paura, braccato finché lo troveremo. Perché lo troveremo sicuramente.»
Dopo la consueta pausa a effetto Romney concluse: «Lascio la parola al Generale Anderson che vi spiegherà nel dettaglio cosa accadrà in questa giornata memorabile.»
Anderson si schiarì la voce e attaccò con piglio deciso come si confaceva al suo ruolo.
«Signori, sarò breve perché il tempo è poco. Come ha accennato il Presidente, il pacco è in viaggio verso Admiral City. Le nostre truppe si stanno dirigendo in loco per circoscrivere e isolare la zona. La città sarà isolata mentre Ammit eliminerà qualsiasi traccia di Teleforce si trovi nel perimetro.»
«Avete fatto una stima delle casualità?» Chiese la Merkel.
Nella sala ottagonale il silenzio calò come una coltre di piombo.
Il generale Anderson si schiarì la voce.
«E’ impossibile fare una stima delle vittime. Dipende dalla reazione dei Super e dello START quando si renderanno conto che sono sotto un nuovo attacco. La nostra arma, chiamiamola così, non dovrebbe nuocere agli esseri umani.»
«Dovrebbe?» Era stato il presidente francese a parlare.
Il generale era in palese difficoltà.
Lo salvò Hickman: «Signori, è un rischio che dobbiamo correre se vogliamo sbarazzarci in modo definitivo di quegli esseri. Sono convinto che il numero di casualità non sarà elevato, ma dobbiamo anche essere pronti a portare il peso di un’eventuale distruzione di Admiral City.»
«Non è possibile pianificare un’evacuazione a breve termine?» Chiese Noda, il premier giapponese.
«Non c’è tempo, inoltre rischieremmo d’insospettire i nostri bersagli.» Tagliò corto il primo ministro cinese.
«E l’essere che si fa chiamare Mezzanotte?»
Il silenzio si fece di nuovo pesante.
Fu Romney a romperlo: «È la variabile impazzita del nostro progetto. Dobbiamo sperare che una volta trovato ciò che cerca, torni da dov’è venuto.»
«Altrimenti?»
«Altrimenti non ci sarà un altro giorno.»
Ritornato nella stanza ovale insieme al Segretario di Stato, Romney aprì l’umidor da scrivania e tirò fuori un Cohiba Coronas Especiales. Dopo averlo passato nel bucasigari, lo accese tirando un paio di lunghe boccate e si buttò sul divano. Era solo il primo mattino ma era già esausto perché stava camminando sulla linea che separa il confine tra gloria e infamia e la tensione era forte, quasi insostenibile. Dentro di sé, però, si stava facendo strada la certezza della vittoria. Dio era con lui e la sconfitta non era contemplata nel suo disegno delle cose.
«Hickman, ho bisogno di riposare qualche minuto ma voglio essere informato di qualsiasi novità, anche la più insignificante.»
«D’accordo signore.»
«Ancora una cosa.»
Hickman si voltò: «Presidente?»
«Quando tutto sarà finito… Portatemi la testa di Rebel Yell.»
Il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti spense il sigaro, allentò il nodo della cravatta e si distese.
Si assopì e sognò un mondo senza Super.

***

Periferia di Admiral City.
22 Aprile 2013
Ore 08.27

Ammit si fermò e annusò l’aria.
Aveva fame.
Una fame che non aveva mai provato prima.
In quel luogo c’era cibo in abbondanza.
In cima a un vecchio edificio Rebel Yell osservava la creatura attraverso le lenti di un binocolo.
Sulla fronte si erano formate piccole gocce di sudore. Non ricordava l’ultima volta che aveva sudato.
Imprecò. Avrebbe dovuto starne fuori.
Dopo questa brutta storia avrebbe dovuto fare un bel discorsetto a quel bastardo di Mitt e questa volta non sarebbe stato tenero.
Prima, però, doveva rimanere vivo.
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martedì 2 ottobre 2012

Capitolo 25 (di Valerio Villa)




Admiral City
Attico del Crowne Plaza
22 Aprile 2013
Ore 07.45

Le luci delle esplosioni che riempivano Admiral City sembravano fuochi d'artificio, viste dalla sommità del Crowne Plaza. Due uomini, vestiti con completi d'alta moda, fumavano dei sigari sotto quella che sarebbe stata ricordata come la nevicata del sangue.
Il trillo di un cellulare risuonò nelle loro orecchie, merito delle nano-macchine che avevano impiantato. 
«Signori, ci sono novità.» Una voce risuonò nella loro testa. «Sulla ACN stanno mandando immagini di un aereo con delle insegne molto interessanti.»
I due uomini si portarono all'interno della suite, diretti verso lo studio adibito a centrale operativa. Lì videro sullo schermo al plasma le immagini, non molto nitide a causa della neve, dell'aereo privato di Wael Ghaly.
«Sembra che il Grande Toth voglia una fetta della torta.» disse il più giovane dei due. «Che dici, Tito, potrebbe essere un problema?»
«Preoccuparsi è inutile hermano. Il piano va avanti.» 
Tito si portò una mano all'orecchio e sussurrò un nome.
«Keller, qui Salazar. Mandi qualcuno ad occuparsi di quell'aereo.» E chiuse la comunicazione. «Torniamo a goderci lo spettacolo, Theo.» disse dirigendosi alla terrazza.
«Non so come tu faccia a essere così calmo, Tito.» Diede una boccata al sigaro, ma ormai era spento.
Soffiò e del fumo nero uscì dalla sua bocca.

* * *

Admiral City
Nei pressi della sede S.T.A.R.T.
22 Aprile 2013
Ore 07.30

Dentro al van, Sniper stava aggiustando i sistemi danneggiati e si chiedeva cosa stesse accadendo a Alexsej e Musashi, quando lo sportello laterale venne divelto.
Di fronte a lui c'era il golem denominato Heavy, armi attivate e puntate su di lui, ma appena lo riconobbe abbassò i due mitragliatori a impulsi. 
Sniper continuò a tenerlo sotto tiro.
Un rapido scambio di dati in wireless ed entrambi vennero aggiornati sullo stato delle rispettive missioni. 
«Dobbiamo aiutare i due super, Stakanov e Kensei,» Sniper abbasso il fucile plasma e scese incespicando dal furgone, «possono essere utili.»
«Lo sai che non possiamo, la priorità ora è la sede S.T.A.R.T. Brawler è già sul posto.»
«Certo, ho ricevuto gli ordini. Come ti dicevo possono rivelarsi utili quei due super.»
«Rischiano di diventare un intralcio una volta sul bersaglio.»
«A quel punto allora dovremo eliminarli.»
«Dovremo?»
Sniper voltò la testa verso il suo compagno: «Ok. Ci penserò io.»


«Ehi, Musashi, questi tizi continuano ad arrivare.» Stakanov era impegnato nel prendere a pugni alcuni Triari, mentre  Kensei cercava di aprirsi un varco fra i carri armati.
«Non capisco.» Intervenne Kensei. «Questi mezzi pesanti, qui e in così poco tempo.» Un colpo di katana e i cingoli di due carri vennero tagliati di netto.
«Lo sapevo che non dovevo dimenticare la mascotte sul furgone. Avessi almeno il suo numero di cell...»
Una raffica improvvisa di raggi bluastri crivellò i Triari alle spalle di Alexsej, mentre tre carri esplosero in rapida successione, dopo essere stati colpiti da dei proiettili verdognoli.
«Scusate il rirardo. Ma ho portato rinforzi.» Sniper e Heavy uscirono dalla loro copertura, dietro una vecchia Oldsmobile ormai da rottamare, continuando a mietere vittime fra gli sgherri di mezzanotte e i corazzati. L'intervento dei due golem diede il colpo decisivo e i carri armati decisero per la ritirata. Heavy continuava a colpire i mezzi pesanti in fuga, le raffiche bluastre dei mitragliatori a impulsi scavavano nel metallo, colpendo serbatoi e vani munizioni, cingoli e torrette. Una potenza di fuoco devastante, sebbene poco accurata.
Musashi, balzato a fianco del golem, sfoderò la katana e la mise davanti al volto dell'umanoide. Una luce violacea illuminò il costrutto.
 «Credo abbiano compreso, rinforzo. Non sono loro i nemici, ma quelli che sta abbattendo il tuo compare, Sniper.»
Heavy rallentò la cadenza di tiro, fino a fermarsi. 
«Se non sbaglio sono loro ad aver aperto il fuoco per primi.» Il suo sguardo seguiva la ritirata dei carri. «Questo li identifica come nemici.»
«Chiamali come vuoi. Sono comunque il male minore, dobbiamo liberarci dei Triari prima, poi andare alla base S.T.A.R.T.»
«D'accordo super.» Heavy si voltò verso gli sgherri di Mezzanotte impegnati a combattere Alexsej e Sniper. «Stammi dietro e non ostacolarmi.» prosegui il golem.
I Triari sembravano non finire mai, scendevano dai tetti e probabilmente il loro obiettivo era lo stesso dei super e dei golem.
Heavy si portò a distanza di tiro. Delle punte metalliche fuoriuscirono all'altezza del polpaccio  ancorandolo a terra, mentre dalla schiena si prolungarono due aste che si conficcarono a loro volta nell'asfalto.
Puntò i mitragliatori a impulsi verso il nemico e fece fuoco. La cadenza di tiro era tre volte superiore a quella usata contro i corazzati, ma allo stesso tempo gli ancoraggi stabilizzarono i colpi; i Triari iniziarono a cadere come mosche sotto i colpi del golem. 
Alexsej e Sniper si buttarono dietro al relitto di un carro armato, per non rimanere nella linea di tiro.
Di fronte a quella pioggia di colpi, i Triari, o chi per loro, decisero per una ritirata.
«WOW!» Alexsej si rialzò dal riparo. «Amico questo è persino più figo di te.» Disse mentre dava una pacca sulla spalla di Sniper.
«Ottimo, abbiamo riguadagnato il tempo perso.» Kensei, si avvicinò al  russo. «La base S.T.A.R.T. non è distante. Muoviamoci.»
Nel frattempo Heavy stava sbloccando gli ancoraggi e immettendo liquido di raffreddamento nei mitragliatori. Fu in quel preciso attimo che una scarica elettrica lo colpi, spezzandolo in due all'altezza del bacino.
«Ehi, Kensei. Ti sei fatto nuovi amichetti?» Starcrusher apparve camminando fra le due metà del golem. «Non mi sembrano molto forti. Cosa ne pensi Magmarus?»
Una forma umana avvolta dalle fiamme si stagliò sopra alcuni cadaveri di Triari, le loro tute, anche se ad alta tecnologia, si stavano sciogliendo a contatto con quel calore.
«Penso che me la posso cavare da solo qui. Vai a salutare il vecchio AD e dagli un colpo anche da parte mia.»
Senza dare risposta, Starcrusher spiccò il volo e si diresse a tutta velocità verso la Salazar Tower.
«Kensei, ho visto cosa hai fatto a mia sorella Psi.» Continuò Magmarus. «La pagherai. Sia per lei, che per tutto quello che mi hai fatto in passato.»
«Ecco sì, mancava la rimpatriata fra vecchi amici.» disse Alexsej.
«Voi due soccorrete Heavy, all'accendisigari ci penso io.» Musashi scattò verso il nemico, l'estrazione della katana, il fendente e il 'Kiai' ruggito a piena voce sembrarono accadere tutti nello stesso istante.
La lama mancò il bersaglio. Di poco. Il forte calore distorceva la figura, e mirare a parti vitali era difficoltoso, anche per uno spadaccino esperto.
«Stai invecchiando, samurai.» Magmarus spalancò le braccia e un'ondata di aria incandescente riempì la zona dello scontro, mandando a gambe all'aria Alexsej e Sniper, che caddero vicini al busto di Heavy.
«Anche tu non sei molto in forma.» Kensei aveva evitato il colpo conficcando la katana nel terreno. «Troppo tempo rinchiuso al Cesor ti ha rammollito.»
«Credi?» Una seconda onda di calore, questa volta direzionata verso il samurai, fece quasi cadere Kensei.
«Devo sbrigarmi» pensò Kensei «o con questo caldo rischio di rimanere a corto di ossigeno troppo in fretta
L'attacco fulmineo del samurai colse alla sprovvista Magmarus, che si spostò in ritardo, ma limitò il danno a due dita della mano destra amputate.
«Bastardo!» Con la mano fiammeggiante il criminale cercò di prendere al collo Kensei, questi schivò con agilità ma il forte calore fece prendere fuoco al kimono. Incurante il samurai proseguì il movimento, roteò sul fianco e in una luce viola la katana tagliò  il braccio sinistro del nemico all'altezza del gomito. Al posto del sangue, un getto che sembrava magma uscì dal moncherino rimasto. Kensei lo schivò e balzò a una distanza di sicurezza. 
In tutta risposta, Magmarus si chinò a raccogliere il braccio, ricollocandolo al suo posto. 
«Che c'è Kensei. Ti sei dimenticato che quando sono in questo stato sono praticamente invulnerabile?»
«Ricordo benissimo. Tu sei e resterai sempre una persona che non sa cosa sia una strategia. Addio.» Detto questo rinfoderò la katana. 
«Cosa?»
Una potente salva di colpi bluastri crivellò Magmarus, riducendolo lentamente a brandelli. Heavy, legato con delle cinghie alla schiena di Alexsej, stava scaricando tutta la sua furia sul criminale, di cui rimasero pochi pezzi sparsi sulla strada.

* * *
Admiral City
Sede S.T.A.R.T.
22 Aprile 2013
Ore 07.50

«Colonnello Ross. Lancio dall'aereo di Ghaly effettuato. Stiamo tracciando il paracadute, ma sembra che sia preciso sul bersaglio. Signore.»
«Perfetto Millar, andiamo a vedere questo regalo. Intanto contatta Rushmore, servono lui e il telepate.»
I due soldati dello S.T.A.R.T. raggiunsero la zona di carico degli elicotteri, designato come punto di atterraggio per il pacco, nell'istante in cui quest'ultimo toccò terra. Di fianco alla cassa in titanio c'era una persona, con una tuta scura, che indossava una maschera raffigurante un dio egizio.
In quell'istante, un forte boato fece alzare tutti gli sguardi dei presenti verso il cielo.
L'aereo del super egiziano era esploso.
«O mio Dio!» Ross non credeva ai suoi occhi. «Il Grande Toth...»
«Il Grande Toth sa di avere molti nemici.» disse Wael Ghaly togliendosi la maschera del dio Ra.
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