martedì 27 novembre 2012

Capitolo 32 (di Smiley)



Admiral City
Nei pressi della sede dello START.
22 Aprile 2013
Ore 07.45 A.M.

La mano di Magmarus fu l’ultima parte del corpo maciullato dai proiettili di Heavy a tramutarsi in cenere.
Alexej la pestò con un piede, sgretolandola sull’asfalto.
Musashi sospirò, mentre polvere nera si disperdeva nell’aria..
Alexej sorrise. «Simpatico, il tipaccio…»
«Stiamo perdendo troppo tempo, dobbiamo raggiungere la sede dello START», puntualizzò Musashi.
«Mister Samurai, se non te ne sei accorto, siamo in mezzo ad una guerra…»
Kensei scosse la testa. «Una guerra che non possiamo vincere.» Magmarus era stato sconfitto, ma i Triari che erano battuti in ritirata erano ricomparsi e li avevano subito circondati.
Erano dodici in tutto.
«Munizioni al 2%», gracchiò la voce robotica di Sniper.
«Munizioni allo 0%», gli fece eco quella di Heavy.
«Munizioni al 100%!», esclamò Alexej, scrocchiandosi le dita.
Musashi sorrise.
Arretrò di un passò, si trovò schiena a schiena con Alexej e con Sniper.
Sfoderò la katana.
Chiuse un istante le palpebre.
Inspirò.
Riaprì gli occhi.
I triari gli furono addosso.

******

Admiral City
Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.01 A.M.

«Maledizione!»
Yell era adirato.
Avrebbe dovuto aspettarsi una cosa del genere. Avrebbe dovuto prevenirla.
Non c’era riuscito.
Isabelle era fuggita via. Probabilmente in cerca di cibo. Sicuramente in cerca di Teleforce.
Affondò la mano nella tasca destra del cappotto grigio. Prese di nuovo il cellulare. Non finì di digitare il numero.
La figura emersa dall’oscurità lo paralizzò.  Yell avrebbe dovuto aspettarsi e prevenire anche quello.
Non l’aveva fatto. Non era da lui.
Sono diventato vecchio…
Increspò le labbra in un sorriso sardonico. «Quanto tempo è che non ci vediamo?»

- - -

Nei pressi della sede START.
22 Aprile 2013
Ore 08.15 A.M.

Il combattimento era estenuante.
Stakanov accusava la fatica, benché la danza lo inebriasse e lo facesse sentire vivo.
Heavy, privato delle sue munizioni e della sua capacità di movimento era stato fatto subito a pezzi dai Triari, che l’avevano massacrato di pugni, e ridotto in un ammasso di ingranaggi calcificati.
Sniper resisteva agli esoscheletri di Mezzanotte opponendo la sua forza e la sua prestanza robotica contro il loro slancio. Ribatteva colpo su colpo, e nonostante fosse rimasto a secco di proiettili, piazzava pugni e calci precisissimi, colpendo i Triarii al petto, allo stomaco, alla testa.
Musashi si era come trasfigurato. Con la coda dell’occhio, nel tumulto della battaglia, Alexej notava solo la scia violacea del suo acciaio vorticare di qua e di là, eseguire fendenti, diritti, rovesci e affondi in una sorta di danza orientale che solo il samurai pareva conoscere. In tutto quel tempo però era riuscito ad abbattere solamente un nemico.
Stakanov non poteva essere da meno. Il Triario che gli piombò addosso ruotò l’anca e sferrò un gancio col destro. Lui fu lesto a rannicchiarsi su sé stesso e contrattaccare a sua volta. Strinse il pugno, fece partire un montante e colpì alla mascella l’avversario.
Il Triario sembrò accusare il colpo, arretrò di un passo. Stakanov però non ebbe il tempo di rifiatare: altri due Triarii lo attaccarono ai fianchi.
Il Red Skeleton non si perse d’animo. Esultò. «Danziamo fino alla morte!»

*****

Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.02 A.M.

Wael Ghaly, il Grande Toth, sorrise a sua volta. «Un anno e mezzo. Dagli scontri in piazza, al Cairo.»
Yell sollevò la tesa floscia del cappello. Gli puntò addosso uno sguardo carico di rabbia. «Come mi hai trovato?»
«Yell il Ribelle che rimane allo scoperto per tutto questo tempo…Non è invisibile ai nostri satelliti. Soprattutto se i loro occhi sono puntati tutti qui.»
«Tutto questo è colpa tua. Quello che è accaduto a Isabelle è colpa tua. Potevamo gestire la situazione…Se non ti fossi immischiato, non sarebbe accaduto nulla. Non le sarebbe accaduto nulla.»
Il Grande Toth si concesse una sonora risata. «Non siete mai riusciti a gestire nulla.»
Yell impugnò la colt, stese il braccio, mirò alla fronte di Ghaly. «Questa faccenda invece la gestirò a modo mio…» Premette il grilletto.

- - -

Nei pressi della sede START.
22 Aprile 2013
Ore 08.30 A.M.

Il sole compì il suo arco in un secondo, la notte prese il sopravvento.
Alexej era a terra, il piede di un Triario sul suo sterno. Lo stava schiacciando.
La musica della battaglia era finita, la danza era conclusa. Che peccato…Proprio adesso che è diventato…Notte?
Anche Musashi e Sniper erano al tappeto, alla mercè dei Triari. Se combattere in quattro era un’impresa disperata, in tre si era trasformato in un lento suicidio.
«È stato un onore essere al tuo fianco oggi», disse Musashi.
«Il piacere è stato mio», replicò Alexej.
Il rombo di un motore squassò la notte, una scia di fuoco la illuminò, una sagoma volò sopra di loro e qualcosa piovve giù dal cielo. Le teste dei triari esplosero tutte nello stesso momento, i loro esoscheletri crollarono sull’asfalto.
Sniper sembrò esultare. «Micromissili di precisione…Brawler!»
Alexej si rialzò, malconcio e un po’ stordito. Anche Musashi sembrava scosso.
Il golem che li aveva salvati atterrò in mezzo a loro. Assomigliava a Sniper e agli altri che avevano incontrato, con l’unica differenza che era grande il triplo. «Lieto di vedere che non siete ancora da rottamare», disse. Posò l’occhio sui rottami di Heavy. «Quasi…»
«Non dovevi essere alla sede dello START?», domandò Sniper.
Brawler annuì. «L’ho fatto. Ma quando sono arrivato, a parte alcuni soldati addetti alla guardia, era deserta. Ho decriptato tutti i canali di comunicazione presenti in un raggio di 20 km e l’informazione più interessante che ho trovato è stata questa telefonata.» Lasciò la bocca aperta. Fuoriuscì un’altra voce. «Rushmore,mi senti? Sono Ross. La situazione è critica. Siamo al collasso. La cassa di Whely era vuota, lui si è dato alla fuga e la Salazar Tower ormai è un campo di battaglia. Ci stiamo dirigendo tutti là, c’è qualcosa che non quadra. Ci spostiamo in elicottero, partiamo tra cinque minuti!» 
«Quindi adesso che facciamo?», chiese Alexej.
«Dobbiamo andare anche noi alla Salazar Tower. Se lo stato maggiore dello START si trova là, dobbiamo raggiungerlo. Yell sospettava che ci fosse un traditore, se è vero dobbiamo assolutamente smascherarlo. Solo qualcuno dello START poteva avere il potere o le autorizzazioni necessarie per richiamare tutti i mezzi corazzati che abbiamo incontrato…O sabotare tutto, facendo partire le varie operazioni con molto ritardo.»
«E come ci arriviamo senza perdere altri 50 anni a fare su e giù per le strade di Admiral City?», domandò Alexej.
«Lasciate fare a noi», disse Sniper. «Brawler, protocollo Bravo-Upsilon-Tau-Alfa!»
Brawler annuì. «Roger!» Dalle sue spalle, e da quelle di Sniper, spuntarono due ali metalliche, simili a quelle di un aeroplano.
Stakanov diede un pugno sulla spalla di Sniper. «E solo adesso ci fai vedere…» Indicò le ali. «…quelle? Siamo andati in giro con quel dannato catorcio, e tu avevi quelle!»
«La prego, non mi tocchi!», disse Sniper. «Il protocollo è solo per i casi di emergenza. Brawler riuscirà a trasportarvi entrambi. Arriveremo alla Salazar Tower in pochi minuti.»
Alexej e Musashi si scambiarono uno sguardo d’intesa.
Brawler cinse il braccio destro attorno al busto di Musashi, e quello sinistro attorno a quello di Alexej. «Pronti!»
«Roger!», rispose Sniper.
Volarono via in un istante, in direzione della Salazar Tower.

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Periferia
23 Aprile 2013
Ore 00.02 A.M.

Il proiettile si era portato via una porzione intera della testa del Grande Toth. Sangue, materia grigia e pezzi di scatola cranica erano sparsi attorno al suo corpo immobile.
«Questo è per ciò che hai fatto ad Isabelle…», mormorò Yell. Inserì la colt nella fondina,  si voltò.
«Dove credi di andare?»
Yell si girò e spalancò gli occhi. Non è possibile!
Ghaly era in piedi. Il buco che la pallottola gli aveva aperto in testa si stava richiudendo. Cervella, cranio e pelle si riformavano ad una velocità stratosferica.
Dev’essere merito del Flare, pensò Yell. Sfoderò entrambe le Colt, puntò al petto, al cuore, ai polmoni del Grande Toth.
Lui piombò a terra, si rialzò di nuovo, rimarginò le ferite in un batter d’occhio.
Yell ridacchiò tra sé e sé. Sembra proprio che oggi nessuno voglia morire. Poi li vide. Le ossa del cranio, il sangue e la materia grigia saltate in aria sfrigolavano sull’asfalto. Ammassi grumosi e sanguinolenti si ingrandivano, si autoplasmavano. Ossa, nervi, tendini, e organi presero forma, mutarono in quattro copie esatte del Grande Toth.
Yell osservò attentamente Ghaly. «Chi sei tu?»
«Mi conosci», rispose Ghaly.
Yell socchiuse gli occhi, mise bene a fuoco la figura che aveva davanti, ignorando le quattro identiche che adesso lo scortavano ai lati, due a destra, due a sinistra. «No, non ti conosco. Chi sei?»
Il Grande Toth rise. «Ora sono lui, ho i suoi ricordi, provo le sue stesse sensazioni. E lui lo sa. Siamo la stessa persona. È in contatto con me, e io lo sono con lui. Qui dentro.» Si picchiettò la fronte con le dita. «Fino a prima che tornasse la notte, ero uno dei suoi canopi. Uno dei suoi surrogati. Gli serviva per far credere a tutti che fosse qui per tener fede alla trattativa che lui, attraverso di me, ha condotto con quelli dello START.»
«E lui dov’è? Il vostro aereo è stato abbattuto!»
«Era il mio aereo, quello che trasportava Ammit. Quello con l’altro me stesso è partito un paio d’ore dopo l’inizio della crisi, molto prima della trattativa, e ormai sarà già sulla via del ritorno. Wael mi ha detto che l’operazione che ha condotto a Savannah è andata a buon termine. Adesso abbiamo tutti i dati e tutte le ricerche che ci servono…»
Yell sgranò gli occhi. «Savannah? Il laboratorio di Angela Solheim? A cosa puntavate?»
Il Grande Toth sorrise ancora. «Non ti riguarda. Pensa piuttosto a te stesso. Sei da solo…In balia di noi cinque.»
Yell increspò le labbra in un ghigno. «Io non sono mai da solo…»
Un elicottero Cobra si materializzò dal nulla sopra le loro teste.
«Tecnologia stealth. Affascinante…», disse Ghaly.
Sui pattini del Cobra erano aggrappate tre figure. Si calarono a terra con una corda, si piazzarono di fianco a Yell.
Il Grande Toth annuì. «Shock, Sweet Sixteen, Eyes whitout a face. Ho letto i dossier su voi leggende, su voi Old Timers. Che onore…»
Yell scambiò un’occhiata con i suoi tre compagni. «Facciamo in fretta. Non abbiamo molto tempo…»
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martedì 20 novembre 2012

Capitolo 31 (di Giordano Efrodini)



Admiral City,
Periferia
Mezzanotte

Ovunque guardasse era un Natale di Cenere, ogni cosa era coperta di polvere bianca, lei inclusa. Gli abiti a brandelli, la pelle e i capelli, si posava ovunque impastandosi come pittura sul suo corpo, mescolandosi al sangue, al sudore e alla saliva.
Leccò e divorò e leccò ancora, mai sazia di quella manna dopo il lungo digiuno. Poi la polvere iniziò a parlare. Isabelle. Il retrogusto della Teleforce le sfiorò la mente. Isabelle. Ammit scosse il capo allontanando l’eco fastidiosa. Isabelle, ripeteva quel ronzio, e ogni boccone aveva il sapore insistente di una debole lucidità.

A distanza di sicurezza, Reb teneva sotto tiro la first lady impegnata a consumare il suo pasto a quattro zampe, lappando il terreno come una cagna affamata. Tutti i suoi colpi erano andati a segno ma le pallottole erano state espulse dal corpo, e quando uscirono Isabelle leccò pure quelle per non sprecare nulla. Stava riacquistando le forze a vista d’occhio. I segni delle costole svanivano, le membra di rafforzavano.
«Ragazza mia, sembri uscita da un’edizione da incubo del National Geographic», mormorò fra sé.
L’aspetto di Isabelle Ghaly era selvaggio e ben lungi dall’essere di qualche attrattiva per chiunque non bazzicasse le soglie della depravazione, ma il veterano non ne stava valutando l’avvenenza. Massa corporea, tono muscolare, tensione nervosa e movimenti sempre più sicuri. Questo lo preoccupava, specie dopo averla vista sopravvivere a tutti quei proiettili. Prese il cellulare, serviva aiuto.

In fine riconobbe i suoi nomi, li ricordò entrambi. Isabelle, Ammit. Prima quello che le sussurrava la memoria, il nome della donna, poi quello della bestia. Il nome che li faceva puzzare di paura tutti quanti, rendendo acre il loro sudore, alimentando la sua fame. Qualcosa in quell’ancora torbida lucidità gliene portò un terzo, uno che non usava da molto, molto tempo. Belle. Lui la chiamava Belle nei momenti di tenerezza, prima di farne la sua schiava. Wael. Suo marito doveva morire. Lo giurò a se stessa, alzandosi tra la polvere. Prima però doveva nutrirsi, così Ammit espanse i suoi sensi da predatrice, cercò la Teleforce nell’aria chiamandola a sé, sentì l’energia accarezzarle la pelle e venirne assorbita come non era mai successo prima, riuscì a evocarla persino dal terreno diventando più forte a ogni passo. Ne avvertì il flusso come se fosse immersa in una corrente, vedendola come una mappa, percependo punti di potere che erano altri simili a lei, e agitandola scoprì di poterla manipolare fino a individuarne la fonte. Sorrise.

Reb finì di dettare istruzioni al telefono, poi sudò freddo. L’aria intorno a Isabelle si comportava in modo strano, come un miraggio su strade troppo assolate. Una corrente statica gli sollevò i peli sulle braccia e sentì pizzicare i capelli sulla nuca. La comunicazione si interruppe, poi la vide. L’aria che ribolliva intorno al corpo di Ammit formò una sagoma enorme e accucciata, pronta al balzo. L’ombra della sua omonima dietro la bilancia di Anubis non poteva essere meno spaventosa quando scattò.

Tetti di Admiral City,
23 aprile 2013
Ore 00.05 A.M.

La Teleforce si disperdeva nell’aria da una fonte sempre più vicina, ormai era ovunque, persino nell’aria che stava cavalcando, balzando da un tetto all’altro come il nucleo di una cellula mostruosa. Seguì l’usta della preda che porta con sé il sapore della carne e del sangue. Ammit procedeva nutrendosene nella sua avanzata, come una balena che attraversa il plancton.
Qualcosa aveva sconvolto i cieli di quel luogo permettendole di percepire tutti i Super, consentendo al suo potere di crescere e chiamandola a sé come un faro. Era l’energia stessa a venirle incontro promanando dall’occhio del ciclone. Prima debole, poi sempre più forte, la chiamava a sé come le acque che insegnano ai salmoni il ritorno a casa. Ammit la percepiva e desiderava. La fame stessa aveva permesso quel balzo, acquistando una forma e ghermendo il centro di quel potere per scagliarla verso la meta con un effetto fionda. Il suo corpo era dentro e fuori di lei, controllava quell’energia come un’aura, un arto fantasma, il corpo fantasma della Divoratrice.

Admiral City
Attico del Crowne Plaza
23 aprile 2013
Ore 00.07 A.M.

Finalmente Tito Salazar era un Dio.
Suo padre, quel bastardo arrogante, un insetto.
Tutti erano insetti.
In sé aveva tanta Teleforce da fare di tutti loro quel che avrebbe voluto, e pigramente si domandò la portata di quei poteri che si sarebbe divertito a scoprire uno a uno. Cullando quel pensiero si concesse una gran risata malevola pur riconoscendone il cliché, ma dopotutto non c’era nessuno a guardarlo e fare la spia. Tuttavia l’istante in cui lo formulò, quello stesso pensiero gli diede torto.
La parete a vetri dell’attico esplose e una donna dall’aspetto selvaggio si posò davanti a lui con la grazia di un uccello. I capelli ondeggiarono come se galleggiasse all’interno di un acquario. No, e la forma di una creatura mostruosa e gigantesca, dalla pelle cangiante. La luce del Flare si rifletteva sulla superficie di quel… – Cosa? Un campo di forza, probabilmente – rivelando l’aspetto composito della bestia dalla quale Isabelle Ghaly, irriconoscibile, aveva preso
il suo nome di battaglia.

Isabelle sgranò gli occhi e sorrise fino al deformarsi dei lineamenti.
Se fosse stata una bambina in pasticceria avrebbe battuto le mani saltellato in preda all’eccitazione, ma era una forza della natura affamata, e così non fece complimenti. Spalancò le braccia attirando a sé l’energia, ma Tito la teneva ben salda sebbene gli sembrasse di lottare contro un Buco Nero. Ecco, questo – intuì Tito – era il vero potere di Ammit, era una sorta di Buco Nero affamato di Teleforce, lo era sempre stata.
Frustrata dalla resistenza dell’avversario, Isabelle lanciò un grido, quindi alzò una mano con grazia per poi calarla con forza. In risposta al suo gesto l’aura di Ammit inchiodò Tito Salazar al suolo con una zampata, ma il potere accumulato dall’uomo gli permise di respingerla, o per lo meno di resistere.
In quelle condizioni Salazar aveva tutta l’aria di uno scarafaggio molto cocciuto sotto uno stivale determinato a schiacciarlo, così rimasero intrappolati nel frustrante braccio di ferro opponendo potere a potere, la pressione esercitata da Ammit da una parte e l’energia del Flare dall’altra. Fu solo nel momento in cui vide Isabelle avanzare attraverso l’aura di Ammit, come un pesce intento a raggiunge l’orlo dello stagno, che capì. Non c’era nessuno stallo. I suoi movimenti erano fluidi, morbidi. Tenerlo inchiodato non le costava nessuno sforzo. Il suo potere stava già passando in lei attraverso la pelle del mostro, e il mostro aveva giocato al gatto col topo fin dal
principio.
Quando Isabelle gli fu sopra a cavalcioni, scrutandolo a un palmo dal viso, anche il muso della bestia lo fissò. Allora Tito chiuse gli occhi stretti stretti, come non faceva più da molto tempo, quando era un bambino e temeva i mostri nel buio.
L’istante in cui iniziò a divorarlo le grida presero il posto di singhiozzi infantili, poi si fece via via silenzio e il Flare passò nel suo corpo, dolce come manna nel deserto.
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sabato 17 novembre 2012

And the winner is...



Ottimi riscontri, soprattutto in termini di lettori e di visite, per il mini-contest lanciato questa settimana qui, sul sito ufficiale di Due Minuti a Mezzanotte.
Letti tutti i contributi pubblicati, come da regolarmento, nel bando proposto martedì, il Gran Consiglio dei Dieci Assenti ha decretato il vincitore: Massimo Bencivenga, autore della scena tagliata del capitolo 24.
A lui va il buono Amazon da 5 euro e il plauso convinto della giuria.
Riportiamo qui sotto il contributo che ha trionfato nel contest, promettendovi che, visto il successo di questo primo piccolo concorso, torneremo presto a proporvene altri.

SCENA TAGLIATA DEL CAPITOLO 24
di Massimo Bencivenga

22 Aprile 2013
Periferia di Il Cairo, 13.10 ora locale

Il vento caldo che le alitava in faccia non rendeva meno scomposto l’incedere eretto, sicuro e calmo del Lieutenant commander dell’USN Melissa J. Laveau. Fendeva lo spazio tra sé e il magazzino scelto per il rendez-vous con la postura che le avevano inculcato in Marina e con il sangue freddo di chi ha portato a termine troppo operazioni bagnate. Era seguita da quattro Seal e da un telepate, gli occhi guizzavano alla ricerca di qualche elemento fuori posto, ma vedeva solo quattro uomini e un sarcofago. In attesa.
«E’ lì?» disse Laveau in un russo quasi perfetto.
«Sì», rispose sorpreso l’uomo che il rapporto fornito a Melissa identificava come Ivan Arkadyevich Suvorov, uomo del SVR (Služba Vnešnej Razvedki) russo.
«Possiamo andare? Non è salutare restare a lungo qui» disse in inglese Ayman Soliman, padrone di casa e agente Cia in Egitto.
Laveau fece un cenno ai Seal. I militari, aiutati nell’operazione dagli uomini di Soliman, sollevarono il sarcofago in titanio, impreziosito da scritte in arabo e dalla raffigurazione stilizzata di un rapace, e fecero dietrofront verso la sagoma controluce del velocissimo bombardiere stealth di ultima generazione. Melissa, Ivan e Ayman li seguirono.
«Ma lo sa che somiglia a quell’attrice…» disse Ivan
«Se si riferisce a Catherine Zeta-Jones si metta in fila, me lo dicono tutti. Anche Anja è molto bella.» Il riferimento alla sua amante abituale fece aggrottare le ciglia a Ivan. La Cia è sempre brava con i segreti si disse.
«Non è curiosa di sapere come ho fatto a operare lo scambio sotto il naso dei Canopi di Ghaly?»
Silenzio.
«Mi sa che Ghaly non potrà godersi appieno la sorpresa.»
Le ultime parole incuriosirono Laveau.
«Cosa intende dire?»
«Che non gli ho sottratto solo l’arma non convenzionale; gli ho lasciato anche un ricordino.» Ivan tirò dalla tasca un panetto. Plastico.
«Sono un uomo dai molti talenti.»
Il sarcofago fu inghiottito dal bombardiere, il penultimo a entrare fu Soliman, che si girò un’ultima volta a guardare il suo Egitto.

Mezz’ora dopo, Laveau si avvicinò al sarcofago. Il telepate era lì, con la fronte imperlata dal sudore.
«Vuole vederla?»
«Sì.»
L’uomo compose un numero sul tastierino, la parte superiore del sarcofago divenne trasparente e Melissa si trovò di fronte a un odio ancestrale.
«Chiuda.»
«Faccio fatica a controllarla.»
«E’ ora di far rapporto. » Non chiamò un superiore, ma un Super.
«Yell, tutto ok. La scarico dove convenuto.»
«Non avrai rogne?»
«Mi hanno detto la periferia di Admiral City, senza specificare dove. Isabelle è un po’ cambiata. Yell, fammi un favore: ammazza anche Romney.»
«Contaci.»
Se Rebel Yell sapesse il ruolo che ho svolto all’interno dell’imbroglio ordito per scalzare Obama…

martedì 13 novembre 2012

La Scena Cancellata



Prima le brutte notizie: il capitolo di Due Minuti a Mezzanotte previsto per oggi verrà posticipato di sette giorni (ossia a martedì prossimo), per causa di forza maggiore. In pratica il computer del partecipante chiamato in causa ha avuto un... brutto incidente al computer, e solo da oggi potrà dedicarsi alla stesura del capitolo numero 31.
Pare però brutto lasciare totalmente scoperta questa settimana, dico bene? Abbassare la tensione è deleterio, perciò vediamo di mettere comunque un po' di pepe e di stimolare la vostra fantasia.
Si è già accennato ad alcuni "contenuti speciali" da proporre alla fine della Round Robin, nell'intervallo tra la Stagione Uno e la Stagione Due. Intervallo che corrisponderà più o meno alle vacanze natalizie.
Ecco, oggi vi do un assaggio di come potrebbero essere questi contenuti speciali.
Cominciamo, per esempio, con un microconcorso intitolato...

martedì 6 novembre 2012

Capitolo 30 (di Miss Marvel)



Admiral City
Cielo sopra la Salazar Tower
22 aprile 2013
11.59 PM
Cielo sopra la Salazar Tower

Hal Salazar strinse i denti, cercando di vincere il senso di vertigine. Il campo magnetico in cui era chiuso insieme a Maxwell – Mezzanotte – era invisibile. Sotto di esso osservava il grattacielo che si era spezzato a metà, lasciando cadere tonnellate di detriti sulla città. Era uno spettacolo al contempo affascinante e orribile. Un enorme, innaturale albero era la causa del crollo. Il tronco abnorme aveva sventrato la Salazar Tower, spaccando cemento, acciaio, vetro, titanio.
Una serie di anelli concentrici di energia bluastra avvolgevano la colossale pianta. L'antenna funziona ugualmente, fu il primo pensiero di Hal. Poi provò un dolore profondo, lacerante, per ciò che era successo al suo grattacielo. Alla mia città.
«Manca un minuto», sentenziò Mezzanotte, serafico. «Il ricevitore reggerà?»
Salazar guardò il compare, cercando di scuotersi. «Reggerà. Ma tutto questo...»
«Soltanto un piccolo sacrificio in più, per cambiare il mondo. Devi essere forte.»
Un ragazzo dai vestiti lacerati levitava verso la sommità dell'albero, in una posa che ricordava in un qualche modo il defunto American Dream.
Eddie.

* * *

Admiral City
Poco sopra le macerie della Salazar Tower
22 aprile 2013
11.59 PM

Libby era incredula. Il grattacielo si era spezzato sopra le loro teste, mentre salivano lungo le scale. L'edificio aveva tremato, scaraventando le tre donne a terra. Stray, la telecineta di Fortress Europe, era stata rapida e istintiva. Utilizzando il suo potere aveva sollevato in volo se stessa e le compagne. Insieme erano uscite dalla finestra più vicina. Non contenta era riuscita a schermarle dalla pioggia di detriti e calcinacci, portandole più su, fin dove si vedeva la linea di frattura della Salazar Tower, spezzata in due da un albero di dimensioni titaniche che cresceva dentro la torre.
Libby notò quattro figure sospese in volo, un centinaio di metri sopra le loro teste. Con mano tremante accese la modalità zoom dei suoi occhialini da runner. Il vecchio Hal Salazar e un uomo sconosciuto, l'aspetto vagamente da santone, levitavano uno accanto all'altro. Un terzo Super, molto più giovane, stava raggiungendo la sommità dell'albero. A centoventi metri in linea d'aria dai tre c'era infine Uranium, sospeso in volo nella sua tuta ipertecnologica.
«Che cosa cazzo...»
Dehydra non riuscì a concludere la domanda. Una voce riecheggiò nella testa delle tre Super.
«Ascoltatemi! Sono Scanner.»
«Si è ripreso, professore?», replicò Libby, pur rendendosi conto dell'inutilità di farlo ad alta voce. Gli psionici la irritavano da sempre.
«Non c'è tempo per questo. Dovete fermare Salazar e Mezzanotte. Avete tredici minuti per farlo.»
Stray e Dehydra scambiarono sguardi preoccupati con la Super dello START, che fece loro cenno di attendere. «Professore, si spieghi meglio.»
«Nessuna spiegazione, vi invio tutto ciò che ho scoperto in forma di input mnemonico.» Non fece in tempo a concludere la frase-pensiero che la testa di Libby si riempì di una ridda di immagini, parole e dati.

E Libby vide tutto.
Il governo lo chiamava Evento Mezzanotte, gli scienziati Tempesta Elettromagnetica Anomala. Hal Salazar, che la ragazza scoprì essere a sua volta un Super, lo aveva battezzato Flare di Teleforce. Fonte e origine ignota, generato nello spazio, il Flare avrebbe investito la Terra alla mezzanotte del 22 aprile 2013, attraversandola, invisibile, in dodici minuti esatti. Per quel poco tempo tutti i Super del pianeta avrebbero goduto di un ampliamento dei loro poteri. Molti non se ne sarebbero nemmeno accorti.
Salazar aveva interpretato quell'evento come un segno del destino. L'umanità doveva mutare, evolversi. Con un mondo di Super, nessuno avrebbe patito più miseria e dolore. Imbrigliare il Flare di Teleforce e usarlo per distribuire la sua potenza su tutto il pianeta: solo lui, tramite il suo sapere e le sue industrie, poteva farlo. Aveva costruito un'antenna ricevente all'interno della Salazar Tower: dai piani segreti del grattacielo fin su, alla sommità.
Una volta raccolta l'energia proveniente dallo spazio aveva però bisogno di qualcuno in grado di diffonderla ovunque. L'unico a poterlo fare era un suo vecchio amico Super, di nome Maxwell, ora noto come Mezzanotte. Ignoto ai più, ma dotato di poteri eccezionali. Ucciso nel 2002 da un virus genetico programmato da un gruppo di potere occulto, interno all'ONU. Resuscitato in quelle ultime ore grazie a uno Super sconosciuto, Eddie, dotato di incredibili talenti latenti. Che era poi il ragazzo in cima all'albero gigante.
I principali governi mondiali sapevano del Flare ma non avevano la tecnologia e le capacità per sfruttarlo. Molti, tra cui il presidente Romney, temevano che Hal Salazar, il miliardario visionario, avrebbe tentato di sfruttarlo per creare una nuova generazione di sovrumani. Pur non conoscendo la reale portata dei progetti del vecchio, non potevano lasciargli via libera. Hanno elaborato piani di contenimento, piani di sterminio dei Super. Qualcuno considerava l'Evento Mezzanotte come un'occasione per porre fine a quelle anomalie che camminavano tra i normali esseri umani.
Salazar sapeva che avrebbero cercato di fermarlo. Studiò contromosse. I Triari, il finto attacco ad Admiral City, e infine il balzo temporale in avanti, che era costato metà del potere del resuscitato Maxwell, nonché parte dell'energia rubata a Uranium, l'uomo atomico, attirato sul grattacielo. Era il trucco che lo avrebbe portato alla vittoria, spiazzando gli avversari che non si aspettavano nulla del genere.

Libby scosse la testa, frastornata. Stray le appoggiò una mano sulla spalla. Si guardarono negli occhi. Quelli della velocista erano colmi di lacrime. Avevano visto anche altro. Matt, American Dream, era morto. Ucciso dopo essere stato utilizzato da Salazar e Mezzanotte come ulteriore pedina, come fumo negli occhi dei potenti mondiali.
Tutti erano colpevoli. Tutti.
«Mi spiace moltissimo», mormorò la telecineta tedesca.
Poi gli strati di energia bluastra che avvolgevano i resti della torre e l'albero che l'aveva distrutta si gonfiarono a dismisura, pulsando e salendo verso il cielo. Verso Salazar e Maxwell.
Era scoccata la mezzanotte.

* * *

Admiral City
22 aprile 2013
Mezzanotte

«Uranium, Lady Liberty, Stray, Dehydra, ascoltate.» La voce psichica di Scanner era ancora più intensa. «Vi porto gli ordini del tenente colonnello Ross: dovete fermare quei due. I conti con gli altri colpevoli di tutto ciò li faremo più tardi. Ora dobbiamo impedire che Mezzanotte compia qualcosa che potrebbe avere esiti catastrofici. Nessuno conosce le possibili conseguenze
Libby ascoltava e osservava. Maxwell assorbiva l'energia blu, le braccia aperte come un Cristo redentore. Anche la ragazza sentiva gli effetti del Flare, di cui in precedenza aveva percepito solo le avvisaglie. Il corpo le pulsava di potere, di vitalità. Anche le sue compagne parevano godere dello stesso miracolo.
«Uranium, tu pensa a Mezzanotte», proseguì Scanner. «Distruggilo, non c'è altro modo. Voi, ragazze, bloccate Salazar. Fatelo prig...»
«No», urlò Libby. «Mezzanotte è mio.»
«Non hai le capacità per...»
«Stai zitto.» Ignorando le proteste del telepate si rivolse a Stray. «Così potenziata puoi farmi volare fino a quel bastardo?»
La tedesca ci pensò un attimo, poi annuì. Senza attendere altro tese le mani psichiche e agganciò Libby, scagliandola come un proiettile verso il cielo buio. Lady Liberty assunse la posizione di volo tipica di Matt. Si accorse di poter accelerare i suoi movimenti col solo pensiero, anche senza una base d'appoggio su cui darsi la spinta. Piombò addosso a Mezzanotte a Mach 2.5, disperdendo il campo di forza invisibile che teneva in salvo Hal Salazar. Non badò al vecchio che precipitava. Colpì Maxwell a pugni uniti, spingendolo via dalla colonna di energia blu, che però lo seguì, unito come un cordone ombelicale.
Il Super accusò il colpo. Sputò sangue, ma poi sorrise. «Non dovresti combattermi, bensì unirti a me», affermò, mentre frenando incendiava l'aria attorno a sé.
«Maledetto!» Come una furia, Libby gli sferrò un pugno a velocità supersonica. Mezzanotte schivò, veloce quasi quanto lei. Quasi: il colpo gli tranciò di netto l'orecchio destro.
Maxwell socchiuse gli occhi, da cui scaturirono due fulmini che investirono la ragazza. Le strapparono i vestiti, causandole ustioni diffuse. In circostanze normali Lady Liberty sarebbe morta. Si limitò invece a stringere i denti, potenziata dal Flare a cui era esposta. Tempestò l'avversario di colpi di Krav Maga sferrati in ipervelocità. Riuscì a piazzargli una ginocchiata al fianco destro, sbriciolandogli un paio di costole. Per tutta risposta Mezzanotte amplificò il suo campo energetico, torcendo i muscoli della ragazza con un elettroshock intensissimo. Se in quel momento lei era forte quanto il povero Matt, Maxwell era paragonabile a Dio.
«I prescelti di Salazar, Eddie e Bonnie, saranno araldi migliori di voi», affermò, tendendo la mano destra per bruciarla come un fiammifero.
All'improvviso il Flare lo abbandonò, deviando verso un punto a nord-ovest, giù in città, attirato da chissà cosa.
Mezzanotte spalancò gli occhi, incredulo. Libby non gli lasciò il tempo per riprendersi dallo stupore. Lo afferrò per le spalle e schizzò orizzontalmente verso sud-est. Si accorse che oramai volava autonomamente. Aumentò la velocità fino a raggiunge Mach 7. Accelerò ancora, passando oltre lo skyline di Admiral City. Tra le sue mani il corpo di Maxwell si contorceva, sottoposto a pressioni che la ragazza poteva reggere, ma lui no. Fu a Mach 10, in volo sopra la Martinica, che l'uomo si disarticolò, le ossa frantumate, gli organi interni collassati, gli occhi esplosi. Libby decelerò fino a rimanere sospesa sopra le acque buie del Mar dei Caraibi.
Lasciò cadere il cadavere di Mezzanotte, quindi planò, semicosciente, verso l'ignoto.

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Admiral City
Attico del Crowne Plaza
23 aprile 2013
Ore 00.05 AM

Il Flare di Teleforce investì Tito Salazar, inginocchiato al centro della sala, gli occhi chiusi, i muscoli tesi. Era vestito con la speciale tuta color antracite, in nano-network, che lo aiutava a distribuire l'energia assorbita al suo organismo. Nella mano destra stringeva i due telecomandi, il suo e quello del defunto fratello Theodor. Non li aveva più lasciati, per scaramanzia, anche dopo aver attivato il deviatore innestato in tempi non sospetti su quello che fino a poche ore prima era lo scheletro inanimato del vecchio Maxwell.
Oh sì, pensò Tito, sarebbe stato uno spreco dividere tutto questo potere con gli insetti là fuori, caro vecchio e stronzo padre mio.
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