mercoledì 27 febbraio 2013

Capitolo 3 - Stagione 2 (di Davide Mana)


15 Luglio 1934
Shoreham, Long Island, Stati Uniti

Era necessario definire un protocollo.
Su questo concordarono tutti.
Perché non si poteva ora cercare di non-sapere ciò che si sapeva.
Un Protocollo, per cui tutti loro, d'ora in avanti, fossero responsabili.
Misero su dell'altro caffé, e cominciarono a mettere giù i punti essenziali.
«Dovremo essere ovunque,» disse Tesla. «Dovremo essere consci che non esistono mappe per il futuro, e solo un pazzo potrebbe desiderarle.»
Perché la responsabilità sarebbe stata loro, comunque.
Per sempre.

* * *

20 Ottobre 2013,
Santorini, Grecia

Fira è una nevicata candida sopra al nero ed alla ruggine degli strati vulcanici, nei quali due tagli obliqui lunghi seicento passi spezzano la stratificazione e tracciano una V, è il segno di vittoria lasciato dal vulcano che annientò Micene.
Valerie si stringe nella felpa grigia, un brivido per il vento, o forse per le due grandi faglie incrociate, al cui cospetto gli sforzi umani sono nulla.
Deve solo raggiungere il porto.
Scendere i nove tornanti candidi sotto la grande V, raggiungere il porto, imbarcarsi sul primo traghetto di turisti.
Poi cercare una connessione, raggiungere un server.
Informare il mondo di ciò che la Hypothetical sta facendo in Grecia.
Il vento le scompiglia i capelli corti.
Tira su il cappuccio, e si accoda ad una fila di turisti inglesi.

* * *

Bannon si siede al suo tavolo sulla terrazza, continuando ad ignorare l'uomo della Hypothetical Security che sia affanna alle sue calcagna da quando è sceso nella hall.
Ordina una colazione leggera, succo d'arancio, caffé, uovo alla coque.
Accede al Guardian.
I filtri rallentano il trasferimento in maniera irritante.
Al tavolo a fianco una donna asciutta, i capelli biondi raccolti in due trecce corte ai lati del volto, gli getta un'occhiata al di sopra degli occhiali da sole, e poi torna a leggere il suo libro.
Retrotech, cartaceo.
Quarantacinque portati bene, pensa Bannon, probabilmente divorziata. Gambe lunghe nei jeans attillati, seni ancora sodi sotto alla maglietta bianca.
Stasera a cena, magari, se risiede qui in albergo.
«Signor Bannon,» sussurra l'uomo della HS.
Nessuno conosce il suo nome.
Tutti lo chiamano solo Signor Bannon.
«Sì?»
L'uovo è discreto.
Il succo d'arancio troppo freddo.
L'ufficiale gli riversa un file in LAN.
Valerie Broussard.
Aix en Provence.
Padre bancario, madre casalinga. Figlia unica.
Graziosa. Efelidi, capelli rossi, naso dritto, mento aguzzo.
In Grecia con il progetto WITNESS.
Bannon fa una smorfia.
«Avrà tagliato e tinto i capelli, mascherato le efelidi, alterato cosmeticamente i tratti del volto.»
Non si preoccupa di abbassare la voce.
Si sistema la giacca.
La bionda torna a guardarlo, fa un sorriso storto, ripone il libro nello zainetto.
Il Signor Bannon si alza.
«Abbiamo istruzioni precise,» dice l'altro, in un sussurro.
Un sopracciglio inarcato.
«È stato approvato un protocollo XPD.»
Bannon emette una breve risata, come una pistolettata.
«Non siate ridicoli,» dice, «Questa è una normale operazione di polizia. La ragazza ha informazioni che potrebbero mettere in imbarazzo il governo. Fermatela, e mantenete un profilo basso. Il resto è affar mio.»
Si volta per gettare un'occhiata alla bionda, ma lei se ne è andata.

* * *

Ecchesarà mai? Una ragazzina di neanche vent'anni, che peserà quaranta chili con le scarpe. Felpa grigia, capelli corti, borsa LowePro in spalla.
Si è saputo che è del WITNESS.
Questo faciliterà un po' di violenza.
Adolescenti viziati armati di fotocamere a spese di una rockstar, fuori per denigrare chi fa il proprio lavoro.
L'informazione vuole essere libera. Il mondo deve sapere.
Tutte balle.
Le intimano l'alt.
La colonna di turisti, pantaloni corti e camice a fiori, si disperde come un gregge terrorizzato.
La ragazza resta ferma.
L'ombra del campanile cade ai suoi piedi e la segna come una freccia di tenebra sul selciato candido.
Spaventata.
Ma è una ragazzina, e loro sono sei, tenuta antisom, GONG-26 caricati a baton round.
Dall'intercom arrivano ordini conflittuali.
Ma la direzione è stata chiara – fermare, isolare, uccidere.
L'uomo di punta avanza.
«Posa la borsa,» dice.
La sua voce amplificata dalla corazza ha un suono ronzante, metallico, da insetto.
Occhi verdi guizzano in cerca di una via di fuga.
Infila una mano nella borsa.
Tre uomini fanno fuoco.
Croci di gomma, ampie una spanna, colpiscono spalla, petto, stomaco.
La sbattono indietro, incespica, cade, è a terra.
Fatica a respirare.
La gente si allontana vociando, ma lentamente, la violenza spaventa ma affascina, vogliono vedere.
L'uomo di punta le è a tre passi.
Dalla borsa fotografica è scivolata una vecchia semiautomatica russa.
Questo può solo facilitargli il lavoro.
Non ci sarà bisogno di portarla fuori vista, di simulare una fuga.
Era armata.
Lui deve difendersi.
Sfodera la Beretta.
E la ragazzina erutta.

* * *


Bannon supera le squadre che cordonano l'area, ignora i turisti che strillano e vagano come polli decapitati, ignora l'odore di carne e sangue, e calce, e paura, e punta alla piazza.
Sant'Irene è stata schiantata da un maglio colossale, la facciata insaccata, il portone infranto, le vetrate polverizzate, una torre mozzata di netto che ora occlude un vicolo come un trombo fatto di calcinacci.
La piazza è tappezzata da uno spolverio di vetri multicolori, allagata da un tubo tronco della fontanella pubblica divelta, costellata di figure in nero schiacciate come formiche.
Le case attorno hanno le finestre sfondate, i balconi abbattuti.
La fontanella pubblica è incastrata nell'edicola all'angolo.
I due bar affacciati sulla piazza sono due caverne nere ingombre dell'intrico di tavolini metallici contorti e ombrelloni lacerati.
I paramedici stanno allontanando i feriti, a decine.
E al centro di tutto quello, al punto zero dell'eruzione, una ragazza, rannicchiata, con una felpa grigia, sulla quale si rincorrono i punti scarlatti di una dozzina di mirini laser.
Bannon potrebbe addirittura ridere.
Basso profilo un cazzo, pensa.

* * *

Ignora i laser, e le si avvicina, piano.
Le mani lontane dai fianchi, l'espressione neutra.
Un uomo non più giovane, con una giacca color polvere su una camicia color tabacco.
Niente di minaccioso.
Non dopo gli stormtrooper della Hypothetical.
Le si accoscia accanto, ma si guarda bene dal toccarla.
La ragazza ha gli occhi sbarrati, è pallida come un cencio, dondola lentamente da destra a sinistra.
A forse cinque metri, uno scudo telecinetico crepita azzurro attorno a un cadavere in uniforme antisom, e si spegne.
Bannon scrolla il capo.
È da manuale – super in latenza, pressione, attacco di panico. Le surrenali vanno in overflow, il sistema simpatico si sovraccarica, e lei erutta i propri poteri con un picco anomalo.
Un bootstrap, nel gergo comune.
E purtroppo per i poveri bastardi che l'hanno terrorizzata e risvegliata, non è una veggente, una biocinetica a espressione vegetale, o una guaritrice empatica.
La ragazza sta tremando.
Bannon sorride.
Ha un moto di tenerezza, per quella super appena nata. Sei mesi di addestramento, pensa, e non soffrirai mai più il freddo, ragazzina.
Sulla piazza ci sono sempre più uniformi corazzate e sempre meno camice aloha.
Niente più paramedici.
Gli elicotteri che indugiano nel cielo non sono più eliambulanze.
Un energumeno col corpetto blindato e gli stivali lucidi lo sta fissando, gradi da feldmaresciallo o qualcosa del genere, un dito premuto all'orecchio, e annuisce.
I vertici sono irritati, riflette Bannon.
Vogliono sangue.
O vogliono acquisire la ragazza.
Ma qui non è più una questione di immagine per l'azienda, di sviluppo strategico o di qualche strano giochino per conto del Premier.
Qui si tratta del Protocollo.
Lentamente, Bannon appoggia una mano sulla spalla della ragazza.
«Tranquilla,» sussurra.
Lei smette di dondolare, rabbrividisce ancora.
Lo guarda senza vederlo.
«Ne vous inquiétez pas, ma fille,» le ripete piano, «vous serez très bien.»
Tenendosela vicina, si alza, le mani bene in vista.
Quanti sono?
Duecento?
Sorride, sperando di apparire rassicurante per i catafratti della Hypothetical Security quanto lo è stato con Valerie.
Bannon conosce il proprio dovere, la propria responsabilità.
D'altra parte, quando si è ovunque, prima o poi si capita nell'occhio del ciclone.
Lui è tutto ciò che rimane fra una ragazza terrorizzata e una esecuzione sommaria. Fra una specie di bomba atomica psicocinetica e duecento imbecilli troppo fiduciosi nel proprio hardware.
Spera solo di non dover fare loro troppo male.
Sono questi i momenti in cui gli piacerebbe avere il potere di annebbiare le menti.
E invece...
- - -

Capitolo scritto da Davide Mana (Strategie Evolutive blog)


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mercoledì 20 febbraio 2013

Capitolo 2 - Stagione 2 (di Giovanni Grotto)


Jackson riaprì lentamente gli occhi e si ritrovò disteso nel buio più assoluto. Dopo qualche istante di smarrimento cercò di rialzarsi, ma i suoi polsi e le sue caviglie erano saldamente legati.
«Ehilà?» gridò con voce roca. La sete era terribile. L’unico suono nelle vicinanze era un ronzio insistente, causato forse da un generatore.
«C’è nessuno?»
Un fascio di luce improvviso lo abbagliò, costringendolo a chiudere gli occhi.
«Bentornato fra noi, Jackson.» disse una voce femminile. Jackson cercò di mettere a fuoco la vista, e scoprì di essere disteso su di un tavolo metallico, con pesanti legacci che impedivano ogni suo movimento. Non riusciva a vedere la proprietaria della voce, immersa nell’oscurità al di fuori del cerchio di luce.
«Chi…chi sei? Dove mi trovo?» chiese Jackson.
«Esattamente dove dovresti essere. Stavi cercando qualcosa… e hai trovato
me.»
La donna si avvicinò al tavolo, il suo volto finalmente rivelato dalla luce. Jackson sgranò gli occhi ed emise un gemito.
«Tu?… non è possibile…
tu sei morta!»
- - -

Laboratorio Segreto NIMBUS
Calgary, Canada
Una settimana prima.

«Ne hai ancora per molto?»
«Piantala di rompere, Jackson…dammi una sigaretta, piuttosto.» esclamò Tabitha.
«Sono alquanto occupato a godermi il panorama, al momento.» rispose Jackson, impegnato a guardare il sedere di Tabitha. «Vederti a quattro zampe, infilata in quel macchinario… uuh, cosa non ti farei!»
L’ingegnere si rialzò sbuffando.
«Primo, a nessuno interessa sapere cosa mi faresti. Secondo, sei proprio sicuro di non aver niente di meglio da fare? Hai davvero intenzione di ciondolare quaggiù tutto il giorno guardandomi il culo?»
«Possibile.» Jackson allungò una sigaretta all’amica. «In realtà sto aspettando direttive dal Grande Capo, che dovrebbe contattarmi a momenti… pensavo di dare una controllata ai Golem, per ammazzare un po’ il tempo. Novità?»
«Novità… beh, seguimi.» Tabitha iniziò a camminare, con Jackson che la seguiva fischiettando.
«Come puoi vedere la nuova serie è pronta» Tabitha indicò una fila di possenti automi sostenuti da un intrico di cavi.
«Ciao Shen! Ehi, Pablo! Martina, come va?» Jackson salutò uno per uno i vari ingegneri che sciamavano per il laboratorio. «Ottimo design, devo dire. Mi piacciono davvero. Sicura che non daranno di matto questa volta?»
«
Hah! Dopo Admiral City abbiamo potenziato praticamente ogni cosa. Il Boss ci ha messo anima e corpo… i nuovi modelli sono a prova di hacker, hanno un nucleo Teleforce efficientissimo, e sono dotati di uno scudo telecinetico che li protegge da ogni tentativo di attacco o controllo.»
«Mi pare un po’ esagerato, no?»
Tabitha lo guardò fisso negli occhi.
«Dopo Admiral City
niente è troppo esagerato. Niente. E tu dovresti saperlo meglio di me.»
Jackson inspirò profondamente.
«Beh, diciamo che… uuh, guarda che grosso, quello! Non sapevo ci fossero anche dei
mecha in costruzione… e-ah!- guarda un po’ chi c’è! Come te la passi?» Jackson si affrettò verso un Golem seduto contro una parete, a fianco di un imponente fucile.
«Ah, quello? Sta benissimo, completamente ripreso. Un lavoraccio. L’ho spento perché non la finiva più di blaterare. Continua col tuo discorso.»
«Uhm… al laboratorio dei piani alti se ne sentono di tutti i colori. Eventi strani in giro per tutto il mondo, disastri, rivolte… i governi ovviamente cercano di insabbiare tutto, ma la situazione è alquanto preoccupante. Solo questa settimana abbiamo avuto…» Jackson estrasse un tablet dalla giacca ed inforcò gli occhiali. «Dunque… un’invasione di zombie (testuali parole) in un villaggio australiano, un paesino del Kansas dove tutti gli abitanti hanno la stessa faccia, un’intera città italiana svanita nel nulla, scontri tra Super non identificati nelle banlieuses parigine, una terrificante esplosione di energia in Polonia e… un numero spropositato di testimoni oculari che giurano di aver visto Magmarus, Starcrusher, American Dream e decine di altri Super defunti.»
«Com’è possibile?»
«Non lo è. Il problema è che il numero di superumani è aumentato a dismisura, e continua ad aumentare… probabilmente esistono persone dai poteri simili a quelli dei vecchi Super.»
«Bel casino. Ma tranquillo, i nostri Golem possono tener testa a qualsiasi cosa. E in caso di emergenza possiamo far conto sui tuoi straordinari poteri, no?» disse Tabitha sghignazzando.
«Ci tengo a farti sapere che proprio ieri ho sollevato ben cinque chili.
Con la mia mente, donna!» ribattè Jackson.
Tabitha rise e fece per rispondere, quando il tablet di Jackson cominciò a vibrare.
«E’ lei. E’ il Boss.» disse Jackson, affrettandosi a leggere il messaggio.
«Che dice? E’ ancora a Dubai? Ha trovato qualcosa?»
«Bla bla bla…tutto bene, torna in settimana… ah!»
«Che c’è?»
«Ha trovato un segnale. Un generatore Tesla che corrisponde ai nostri modelli è stato attivato.»
«Dove?»
«Calcutta», disse Jackson correndo via. «Devo andare a Calcutta!»
 - - -

Calcutta, India
Oggi.

«Kareema Gupta… »
«Conosci il mio nome, giovane. Ne sono onorata.»
«Il progetto CLOUD… l’esplosione…come?»
«Angela ti ha parlato di me. Che dolce… mi manca tanto, sai?»
Kareema indossava un camice da laboratorio sbrindellato, ma nonostante il vestito malridotto sembrava ancora bella e giovane come nelle foto degli archivi CLOUD. Jackson notò lo sguardo febbrile della donna, che lo osservava come un predatore fa con la sua preda…come se dovesse trattenersi per non divorarlo.
Jackson ricordò immediatamente che Kareema, prima dell’incidente ai laboratori CLOUD, possedeva poteri incontrollabili che la rendevano estremamente pericolosa. Un vampiro che si cibava involontariamente di ogni forma di energia… e lui era steso su di un tavolo, inerme.
«Lei ha fatto molto per me. Ha cercato di curarmi, di curare gli altri…è sempre stata determinata. Come sta? No, non dirmelo. Non ora.»
Il ronzio si fece più forte.
«Quel giorno… quando il reattore Tesla esplose… non sono morta. Sono
rinata.» La donna girò intorno al tavolo, posizionando le sue dita affusolate sulle spalle di Jackson.
«Ma quello è stato solo l’inizio. No, non agitarti. E’ inutile, credimi.»
«Cosa vuole da me?» Jackson cercò freneticamente di liberarsi, di aprire i legacci col suo potere. Ma la sua telecinesi non era abbastanza forte.
«Ti spiegherò tutto con calma. Ora vorrei mostrarti una cosa.»
Le luci della sala si accesero all’improvviso, illuminando una folla di figure incappucciate che iniziarono immediatamente a cantilenare una lugubre nenia. Un gigantesco reattore Tesla torreggiava al centro, poco distante dal tavolo.
«
Cristo…»
Gli incappucciati riempivano ogni metro della grande sala, circondando il reattore e il tavolo su cui Jackson era steso.
«Il nostro generatore Tesla… come ha fatto…?»
«Sono una scienziata, ricordi? Col giusto progetto e i giusti materiali posso replicare ogni vostro esperimento… e andare oltre.»
Jackson riconobbe il modello: era lo stesso tipo di generatore di Teleforce che aveva contribuito a costruire all’interno del progetto NIMBUS. Angela Solheim aveva creato il generatore basandosi sul macchinario originale di Hal Salazar, perfezionandolo esponenzialmente.
«Ma questo significa che…
lei ha rubato i progetti quando i Triari ci hanno attaccato?»
«Ho approfittato della confusione per prendere ciò che mi occorreva. Dovreste ringraziarmi, ho eliminato numerosi Triari mentre mi facevo strada per i laboratori.»
La nenia continuava, insistente, mentre il ronzio cresceva. Jackson cominciò a distinguere delle parole.
«
Jai mata Kali, jai mata Ammit! Kali Ammite, namo namah!»« Chi sono queste persone?»
«Quella che vedi è l’avanguardia del mio esercito. I Figli di Ammit. Gli Araldi della Fine!»
Ammit, pensò Jackson con un brivido. L’entità che aveva quasi divorato ogni forma di vita sulla Terra… prima di essere definitivamente distrutta da Uranium.
«Ammit è morta. Che intenzioni avete?»
«Ammit ci ha mostrato la via. Prima di morire la Dea ha toccato le nostre menti… ha curato tutti noi, ci ha curati come nessuno scienziato avrebbe mai potuto fare. Ha condiviso la Sua saggezza… e la Sua Fame… e ha generato milioni di figli.»
«Ciò che dice non ha senso. Lei è pazza!»
«NO!»gridò la donna, con una voce gutturale. La stretta sulle spalle di Jackson si fece dolorosa.
«La Dea mi ha mostrato la via. Lei
parla nella mia testa! Noi siamo legione, e siamo affamati.»
In un battito di ciglia Kareema tornò di fronte a Jackson… ma il suo aspetto era disumano. La pelle era diventata bluastra, zanne affilate riempivano la sua bocca, gli occhi ardevano come braci… e il suo corpo
cresceva. Un secondo paio di braccia artigliate spuntò dal suo torace con un disgustoso rumore di ossa spaccate. Jackson era terrorizzato, ma allo stesso tempo ipnotizzato dalla creatura demoniaca.

«
Dio… cosa le è successo?»
La creatura sogghignò, mentre il suo corpo continuava a crescere e filamenti di materia scura si estendevano dalle sue spalle come tentacoli.
«La Dea mi ha dato una nuova vita… un nuovo corpo. Una nuova famiglia, una nuova missione.»
«AMMIT! KALI! AMMIT! KALI!» gridarono in coro gli incappucciati.
«La prego… lei è una scienziata…Angela Solheim ha cercato di salvarla…»
Kareema ruggì, spargendo bava viscosa ovunque.
Jackson capì che il mostro di fronte a lui era completamente folle, e di essere completamente alla sua mercé.
A meno che…
Concentrando ogni oncia di energia rimasta Jackson tastò con la mente la sua giacca… trovando infine il trasmettitore d’emergenza,accuratamente nascosto all’interno del taschino.
Con questo posso chiamare la cavalleria.
Kareema riprese a parlare.
«Angela Solheim ha fallito. Mi ha dimenticata. E ha mandato te, un suo lacchè, a cercare il generatore al posto suo…ma non importa. La vendetta non è il mio scopo.Tu mi dirai tutto ciò che sai.
Ogni cosa. O morirai dolorosamente, così come moriranno tutti i nemici di Ammit. Io sono Ram Dao, la Spada della Dea, e nessuno si metterà sulla mia strada
- - - 

Capitolo scritto da Giovanni Grotto (Minuetto Express blog)


 









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mercoledì 13 febbraio 2013

Capitolo 1 - Stagione 2 (di Alessandro Girola)



13 ottobre 2013, ore 1.15 p.m.
Glifada (Atene)
Grecia


Le acque del Golfo di Saronico erano quiete. L'autunno non sembrava voler turbare il susseguirsi di giornate tiepide e soleggiate, una vera benedizione per quei turisti che seguitavano a recarsi in Grecia, nonostante tutte le difficoltà sorte negli ultimi mesi.
Clark osservava la spiaggia di Glifada, la Beverly Hills dell'Egeo. Dal ristorante in cui lui e il suo compagno di fuga si trovavano, godevano di una splendida vista sul mare. C'erano anziani a spasso sulla battigia, podisti che sprintavano in entrambe le direzioni, addetti alla pulizia che setacciavano la spiaggia in cerca di rifiuti.
Dal lato opposto, quello che dava sul centro urbano vero e proprio, il traffico cittadino viveva un momento di tregua, corrispondente all'ora di pranzo. Una camionetta della polizia transitò per la seconda volta lungo la strada principale, questa volta da nord verso sud. Procedeva lentamente, coi finestrini abbassati. I due agenti a bordo si guardavano attorno, attenti.
«Li ho notati anch'io, mister Clark», mormorò Dimitros Filippou, pulendosi la bocca col tovagliolo. Un gesto che ripeteva spesso, per nascondere il suo volto.
«Stia tranquillo. Finché siamo seduti qui fuori non possono vederci.» Clark sorseggiò quel che rimaneva della sua retsina, tranquillo. «Le è piaciuto il mangiare?»
Filippou calò un pugno sul tavolo, richiamando l'indesiderata attenzione della coppia che seduta alla loro destra. Il greco rivolse loro un'occhiata irritata, inducendoli a farsi i fatti loro, quindi si dedicò al suo commensale. «Piantiamola con questo cazzeggio. Fortress Europe mi ha promesso un'estrazione rapida e sicura, invece siamo qui da due ore, mentre la polizia di tutta Atene ci cerca.»
«Io l'ho fatta scappare dalla sua villa fortificata, a dispetto del servizio di sorveglianza e di tutto il resto. Mi ha visto all'opera, giusto? Crede che qualche bolso agente di periferia possa preoccuparmi?»
«Solo perché lei è un Super, non creda di poter fare tutto. I Caschi Blu che i contractors della Hypothetical Incorporated e Loxias hanno sbattuto fuori dalla Grecia potrebbero insegnarle qualcosa. Soprattutto Loxias.» Lo sguardo si Filippou si perse per un attimo in ricordi spiacevoli, che lo indussero di nuovo a pulirsi col tovagliolo. Il greco, vicedirettore dello EYP, il Servizio Nazionale per l'Informazione, era un cinquantenne tarchiato, capelli sale e pepe, occhi neri, lineamenti un po' grossolani. Sembrava più un manager di medio livello, che non un importante dirigente dell'intelligence greca.
«Il tempo di farti qualche domanda e chiuderò la missione, Dimitros. Posso darti del tu, vero?»
«Non era previsto uno scambio di informazioni in loco, mister Clark. Io non so nemmeno chi è lei. Conosco bene gli effettivi di Fortress Europe, compresi i patetici rimpiazzi assunti dopo la strage di Admiral City. Lei non è nei miei file.»
«Solo perché ho trascorso quindici anni in un carcere di massima sicurezza, a Marsiglia, Dimitros. Solo per quello.»
«Mi stai prendendo per il culo.»
Il Super sorrise. «Finalmente siamo passati al tu
«Brutto idiota, aborto della natura, smettila di trattarmi come una pedina. Qui sono io quello importante, non tu. Se non mi porti al sicuro ora, immediatamente, chiamerò Kedives e ti farò arrestare per sequestro. In fondo è ciò che abbiamo inscenato, no? Quindi mi basta poco per cambiare le carte in tavola.»
Filippou fece per prendere il BlackBerry appoggiato davanti a sé. Clark gli bloccò il polso, stringendolo con forza. «Sai perché mi chiamano così, e non con qualche stupido pseudonimo da ragazzo in calzamaglia?»
«Così come», replicò Dimitros, spaventato. «Clark?»
«Esatto. Il perché è presto detto: assomiglio all'attore di Via col Vento. Non trovi anche tu?»
«A Gable? L'ho notato subito. Ma ora che c'entra...»
«Ho anche più o meno la stessa età di Gable, anche se il mio nome una volta era diverso. Sono nato a Bruges nel 1904. Sono sopravvissuto a due guerre mondiali, alla Guerra Fredda e molte altre cazzate. Se pensi di essere in grado di spaventarmi, tu, piccolo burocrate doppiogiochista, evidentemente non sai con chi hai a che fare.» Lo lasciò andare.
Filippou si ritrasse sulla sedia, impressionato. Si versò dell'acqua e la trangugiò. «Bene, e sia. Chiedimi quello che vuoi, purché questa farsa finisca presto.»
«Le informazioni che vuoi vendere a Fortress Europe e all'Europol sono le stesse contenute nella chiavetta dati che hai in tasca?»
Il greco aprì la bocca per negare, ma poi intuì che sarebbe stato inutile. Prese la chiave USB dalla tasca della giacca e la posò sul tavolo. «Non c'è tutto. Alcune cose sono solo qui.» Si toccò la tempia.
«Nemmeno tu sai granché sulla Hypothetical Incorporated, vero? Loro sono venuti, hanno di fatto comprato questo paese, piazzando al governo voi altri, mediocri funzionari di una delle tante amministrazioni che hanno trascinato la Grecia al lastrico.»
«Non ti permetto di...»
«Hai ragione, non importa. Rispondi solo alle mie domande: cosa ne sai del progetto superumano di Kedives?»
«Nulla di specifico. Il Primo Ministro Kedives, in qualità di proprietario della Hypothetical, non ha mai condiviso granché con noi esterni alla sua società.»
«Sai se nel suo staff ristretto c'è uno scienziato americano?»
«Ce ne sono parecchi.»
«Spencer Grant?», specificò Clark.
Filippou si rabbuiò. «Un freddo figlio di puttana. Non conosco le sue competenze specifiche, ma fa parte importante del team ristretto che si è occupato della creazione di Loxias.»
«Perché Loxias è stato creato?»
«Così ci è stato detto, anche se il popolino tende a immaginarlo come a una reincarnazione del Dio Apollo.» Dimitros ridacchiò, mostrando disprezzo per le persone che in teoria avrebbe dovuto proteggere e servire.
«Ce ne sono altri, vero? Meno potenti di Loxias, ma comunque pericolosi.»
«Altri Super? Sì.»
Clark annuì. Era una conferma non necessaria, ma comunque utile. Si lisciò i baffetti, pensieroso. «Il paese è pacificato. La nuova politica economica di Kedives, che guarda ai suoi amici, verso est, promette tempi migliori per la Grecia, almeno a livello di stabilità finanziaria. A che vi servono altri Super?»
«Nel caso l'Unione Europea decidesse di intervenire per restituire la democrazia al popolo», affermò Filippou, in tono secco.
«Menti.»
«Ne parlerò coi tuoi superiori, non con te. Non con un gregario.»
«Senza di me non andrai da nessuna parte.»
«I patti...»
«Sono cambiati.»
Il greco si mosse a disagio sulla sedia. «Progettano un intervento armato, extraterritoriale.»
Clark drizzò le orecchie. «Che genere di intervento armato?»
«Non del genere che viene discusso con noi esterni. Tutto ciò che conosco l'ho appreso a mio rischio e pericolo. Sapendo che prima o poi mi sarei venduto a qualcuno più sano di mente rispetto a Kedives.»
«Che buon cuore», ironizzò Clark. «Che altro hai scoperto? Quali sono le mire della Hypothetical Incorporated?»
Filippou tormentò ancora il tovagliolo, ma alla fine rispose. «L'Europa, credo.»
«I tuoi padroni non sono terroristi, bensì imprenditori. Mi vuoi far credere che manderanno in giro i loro Super a compiere attentati suicidi? Per quale motivo? Destabilizzazione?»
«Potere. Fuori dalla Grecia c'è chi comincia a guardare con simpatia a quanto è successo qui. La ricetta alla crisi mondiale? Un piano economico nuovo di zecca, gestito da dei geniali visionari. E se serviranno le maniere forti per smantellare il vecchio sistema plutocratico... beh che problema c'è?»
«Conoscevo due tizi che facevano discorsi del genere, negli anni Trenta.»
«Sei fuori strada. Le ideologie del passato non rappresentano nemmeno un po' l'utopia di Kedives.»
«Tu lo credi. E comunque non importa.» Clark afferrò la chiavetta dati e la fece sparire nella tasca della sua giacchetta di lino. «Ora andiamocene.»



Passeggiarono lungo la battigia, verso sud, dove la spiaggia confluiva verso l'area periferica del comune di Glifada, facente parte della suddivisione amministrativa di Atene Meridionale.
Vista l'ora non c'era molta gente in giro. I turisti erano perlopiù di una certa età, francesi o inglesi, più qualche italiano. Erano persone che non badavano al consiglio diffuso dai loro governi, ossia di non recarsi in Grecia, non da quando quel paese era entrato nella lista degli stati canaglia. Dal canto suo il Primo Ministro Kedives non aveva affatto chiuso al turismo, affermando che lui non era nemico degli europei, bensì di chi li comandava.
Di tedeschi tuttavia non se ne vedevano da settimane. Avevano paura dell'accoglienza che i greci potevano riservare loro, dopo anni in cui il governo di Berlino li aveva costretti a patire stenti e vessazioni, per colpa della Crisi. In compenso si vedevano sempre più spesso russi, kazaki e azeri, rappresentati del ceto benestante dei rispettivi paesi.
Clark e Dimitros passavano inosservati, confondendosi tra i turisti, che parlavano una gran varietà di lingue, tranne il greco. Raggiunsero il punto più distante della spiaggia, dove il panorama del lungomare non era più occupato da locali di lusso, ristoranti e negozi, bensì da condomini e vecchie case, appartenenti all'epoca in cui Glifada non era ancora uno dei quartieri-bene di Atene.
Attraversarono la strada. Clark condusse Filippou dietro a un tozzo edificio in muratura, che poteva avere quasi un secolo di vita, forse di più. Si addentrarono in un rione altrettanto vecchio, che mostrava ancora i segni degli anni di miseria che avevano portato la Grecia al fallimento e al commissariamento. Finestre chiuse, cartelli di Vendesi lasciati ad arrugginire sulle porte, insegne scolorite di alberghetti mai più riaperti: tutto trasmetteva un senso di abbandono. Non si vedeva nessuno in giro, se non qualche gatto randagio.
«Dove stiamo andando?», bofonchiò Dimitros, stanco di camminare. «L'estrazione avverrà in questo letamaio?»
Clark non rispose. Passò sotto la serranda alzata per metà di una locanda, fuori attività da chissà quanto tempo. Il greco lo seguì, attento a non strapparsi la giacca contro il metallo rugginoso.
L'interno era spoglio e misero, senza più mobilio né altro. Ben diverso dalle strutture di lusso della vicina Glifada. Il Super sapeva che tutto faceva parte dell'opera di maquillage messa in atto dal nuovo governo. Spazzare la polvere sotto il tappeto e mostrare efficienza là, dove il mondo esterno era solito guardare.
«Ora basta», esclamò Filippou. «Io di qui non mi muovo, se non per lasciare il paese.»
Clark scattò all'improvviso e lo afferrò al collo, spingendolo contro il muro. Lo sollevò da terra senza sforzo, aumentando pian piano la presa con le dita d'acciaio, nascoste sotto lo strato di pelle trapiantata. I suoi occhi brillarono di rosso, come succedeva ogni volta che aumentava l'emissione di Teleforce del nucleo centrale. Un piccolo difetto di fabbricazione che risaliva al progetto originario di suo padre, il professor George Moore, a cui stranamente nessuno era riuscito mai a porre rimedio. Nemmeno gli scienziati tedeschi di Fortress Europe, che pure lo avevano esaminato e messo a punto, prima di offrirgli quella missione. La realtà è che nessuno era ancora riuscito a scoprire il segreto della sua creazione.
«Cosa... cosa sei... maledetto?», riuscì a balbettare Dimitros, mentre soffocava sbavando.
«Mi spiace, per te non ci sarà nessuna estrazione.» Clark aumentò la stretta e con uno schiocco secco spezzò il collo al greco, depositando poi in un angolo buio della stanza. Lo troveranno per primi i ratti, calcolò.
Ignorando il cadavere si rigirò tra le dita la chiavetta USB. Mentre camminavano l'aveva già scansionata da cima a fondo grazie al lettore tattile, esaminandone i dati. Il codice cifrato di protezione, software militare obsoleto di qualche anno, non gli aveva dato particolari problemi. Ora aveva parecchie informazioni preziose, e almeno tre o quattro idee alternative su come utilizzarle.
C'era una cosa che Dimitros Filippou non gli aveva detto, documentandolo però sui file che aveva con sé. Gli americani avevano infiltrato dei loro agenti, dei Super, ad Atene. Secondo gli agenti dell'EYP, che lavoravano rubando dati all'intelligence alle loro controparti dell'Hypothetical Incorporated, non era da escludere il tentativo di un colpo di stato manovrato dallo START, e appoggiato dalle opposizioni al regime di Kedives.
Clark intascò la chiavetta. Interessante, rifletté. Gli yankee pensano a golpe qui, proprio mentre la Hypothetical progetta di fare qualcosa di simile nel cuore dell'Europa. Ci sarà da divertirsi.
Ora doveva soltanto di scegliere da che parte stare. Considerando come lo avevano trattato i tirapiedi di Fortress Europe negli ultimi quindici anni, qualche dubbio lo aveva.
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Impaginazione a cura di eBookAndBook
Grafica a cura di Giordano Efrodini

martedì 5 febbraio 2013

Ordine d'Ingaggio - Season Two (Nativity)

 
Questo è l'ordine di scrittura di Due minuti a mezzanotte - Nativity. Volgarmente detta "Season Two". Oppure, in acronimo, 2MMN.
Le regole di partecipazione, invio etc etc le trovate qui. Sono le stesse della Season One, con qualche minimo aggiustamento, che riassumo qui. 
  • Gli estremi delle parole da utilizzare per ogni capitolo non sono più 500 (minimo) e 1000 (massimo), bensì 700 (minimo) e 1500 (massimo). Fanno eccezione il capitolo iniziale e quello finale, che possono arrivare fino a 2000 parole totali.
  • Il giorno di pubblicazione dei capitoli è stato spostato da martedì a mercoledì. Quindi ciascun capitolo dovrà essere consegnato al sottoscritto entro le ore 16.00 (Fuso orario dell'Europa Centrale) di ogni martedì. Se riuscite a farlo prima, tanto meglio!
  • Tutto riparte da dov'è finita la season one. Quindi gli eventi occorsi in precedenza vanno tenuti in considerazione in fase di scrittura. 

Importante: Per i dialoghi utilizzate le caporali basse: « per aprirli e » per chiuderli.
Importante (2): NON mandatemi file DOCX per nessun motivo. Come scritto nel regolamento, i soli file che accetto saranno: .rtf, .doc .odt.
La mail per inviare il vostro capitolo è: dueminutiamezzanotte@yahoo.it
 
Prima di lasciarvi all'ordine di scrittura vi chiedo cortesemente di confermare la presa visione del documento e di aver annotato il vostro turno d'ingaggio. Per farlo basterà un commento in questo post. Chi non lo farà entro sette giorni a partire da oggi verrà cancellato dal progetto. 

Per conoscere il vostro turno di scrittura vi basta dare un'occhiata: il mio primo capitolo è previsto per mercoledì 13 febbraio, da lì in poi si va di settimana in settimana, in ordine progressivo.

Ordine d'ingaggio 2MM - Nativity 

 

1. Alessandro Girola (mercoledì 13 febbraio 2013 - data di inizio della RR) 

2. Giovanni Grotto  

3. Davide Mana

4. Il Moro

5. Massimo Bencivenga

6. Gherardo Psicopompo

7. Gian De Steja

8. Massimo Mazzoni

9. Salomon Xeno

10. Giordano Efrodini

11. Nick Parisi

12. Germano Hell Greco

13. Cristiano Pugno

14. Marcello Nicolini Miss Marvel

15. Masca Micilina

16. Fra Moretta

17. Marina Belli

18. Valerio Villa

19. Matteo Poropat

20. Domenico Attianese Smiley

21. Gianluca Santini

22. Lorenzo Ladogana Ione di Chio

23. Nicola Corticelli

24. Antonio Monteleone

25. Paolo Ungheri

26. Angelo Sommobuta Cavallaro

27. Angelo Benuzzi

 

Nota: Alcuni partecipanti sono indicati con un asterisco (*) perché non sono ancora certo della loro volontà di partecipare a questa seconda stagione di 2MM. Chiedo loro di darmi conferma o rifiuto a riguardo. A me farebbe piacere averli in squadra ;-)